La Turchia mette un piede in Libia e Donald Trump chiama Recep Tayyip Erdoğan per sottolineargli che le interferenze straniere complicano la situazione del Paese nordafricano. Nel giorno in cui il Parlamento turco ha approvato l’invio di truppe al fianco di Fayez al-Sarraj, il presidente americano ha avuto un colloquio telefonico con il presidente turco nel corso del quale i due leader avrebbero sottolineato l’importanza di una soluzione diplomatica nella regione, oltre a concordare sulla necessità di una de-escalation della situazione a Idlib, in Siria, per proteggere la popolazione civile.

Poco prima della telefonata Ankara-Washington, il Parlamento turco, come era nelle attese, ha approvato, con 325 voti a favore e 184 contrari, la mozione che dà il via libera al dispiegamento per un anno di militari turchi in Libia a sostegno del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. La proposta, discussa in mattinata dopo la disponibilità offerta dal presidente Recep Tayyip Erdoğan e la successiva richiesta di aiuti militari da Tripoli, ha trovato l’appoggio del partito di governo, l’AkParti (Akp), e della formazione nazionalista Mhp. Contrari, tra gli altri, la sinistra del Chp, la formazione curda del Hdp, e il partito Felicity.

La mozione è “importante per la tutela degli interessi del nostro Paese e per la pace e la stabilità della regione”, ha commentato su Twitter il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu. Il voto è stato anche al centro di un colloquio tra il presidente turco e quello americano, Donald Trump, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Anadolu. Un alto ufficiale delle milizie legate a Khalifa Haftar, secondo quanto riportato da al-Arabiya, ha però detto che i suoi uomini sono “pronti a combattere”.

“Una Libia il cui governo legittimo è sotto minaccia può diffondere instabilità in Turchia”, ha dichiarato il deputato Akp, Ismet Yilmaz, mentre “chi non vuole agire a causa di un rischio getta in nostri figli in un pericolo ancora maggiore”. Nel corso della discussione, il Chp aveva annunciato che i suoi deputati avrebbero votato contro perché il dispiegamento implicherebbe il Paese in un nuovo conflitto e in ulteriore “spargimento di sangue musulmano”. Il leader del partito, Kemal Kilicdaroglu, aveva chiesto al governo di lavorare piuttosto per stabilire una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite in Libia. “La Turchia deve mettersi alla testa degli sforzi per portare stabilità nella regione e concentrare gli sforzi diplomatici in quella direzione”, ha twittato.

Khaled al-Mahjoub, capo della direzione Guida Morale del Comando generale dell’Esercito nazionale libico (Lna), ha detto che la sua formazione “non permetterà la presenza di qualsiasi forza turca ostile sul territorio libico e ha aggiunto che è pronta a combattere”, secondo quanto riporta al-Arabiya. L’ufficiale “ha sottolineato l’attuazione di misure militari di precauzione per essere pronti a un eventuale scontro” con “le forze turche”, scrive ancora il sito.

Una decisione scontata, quella dell’assemblea di Ankara, dopo che erano circolate indiscrezioni riguardo all’appoggio dei nazionalisti del Mhp che avrebbe garantito una larga maggioranza in aula. Il voto, inizialmente programmato per il 7 gennaio, è stato poi anticipato con una seduta straordinaria al 2 gennaio a causa dell’urgenza dovuta alla nuova offensiva portata avanti dal generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, per la conquista di Tripoli, con l’appoggio di varie formazioni paramilitari straniere, tra cui il Wagner Group, considerato vicino a Vladimir Putin, e le Forze di sostegno rapido sudanesi.

Nella giornata di mercoledì, il governo di Ankara, per bocca del vicepresidente turco Fuat Oktay che ha parlato all’agenzia Anadolu, aveva comunque fatto sapere di essere disposto a non inviare i propri militari nel Paese in caso di ritiro delle truppe di Haftar: “Dopo l’approvazione dal Parlamento potremmo vedere qualcosa di diverso, una posizione diversa” da parte di Haftar. “Se dicono ‘ok ci ritiriamo, abbandoniamo l’offensiva’, allora perché dovremmo andare lì?”, ha dichiarato. Oktay ha anche sottolineato che Ankara spera che il voto in Turchia rappresenti “un segnale politico” e un messaggio di dissuasione per le parti in conflitto.

L’epilogo mette comunque in difficoltà gli alleati europei di al-Sarraj, in particolar modo l’Italia che, nel corso dell’ultima missione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva cercato di dissuadere il Gna dall’accettare l’offerta di un appoggio militare da parte di Ankara. Una richiesta spinta da due motivazioni. La prima, riguarda il pericolo di una nuova escalation del conflitto e di una crisi umanitaria, visto che il supporto militare diretto di potenze come Russia ed Egitto, con Bengasi, e, dall’altra parte, della Turchia, con Tripoli, rischia di aumentare la portata degli scontri e dei mezzi a disposizione delle due fazioni, polarizzando così il conflitto. Dall’altra, in questo modo il governo di Erdoğan ha assunto il ruolo di partner principe per al-Sarraj, mettendo in secondo piano proprio l’Italia, contraria fino ad oggi al supporto militare, uno dei pochi soggetti che in Libia riusciva a dialogare con tutte le parti in gioco e, soprattutto, interessata a mantenere stretti i rapporti con Tripoli, con cui ha stipulato accordi sui flussi migratori.

Non a caso, il viceministro degli Esteri, Marina Sereni, ha commentato dicendo che “il voto del Parlamento turco sulla Libia aumenta le tensioni in un quadro già drammatico. La missione Ue proposta dall’Italia è sempre più importante per chiedere a tutti gli attori di rispettare l’embargo Onu, far tacere le armi, ridare voce alla politica”.

Dall’Unione europea fanno, infatti, sapere che “abbiamo sottolineato in varie occasioni, l’ultima è stata il 23 dicembre scorso, che non esiste una soluzione militare per il conflitto in Libia”, ha dichiarato uno dei portavoce del servizio di azione esterna dell’Ue interpellati. “L’Unione ribadisce a tutte le parti interessate il suo appello a cessare tutte le azioni militari e riprendere il dialogo politico”, ha aggiunto il portavoce. E il 7 gennaio prenderà il via la missione dell’Unione europea annunciata proprio da Di Maio al suo ritorno dalla Libia e che sarà guidata dal nuovo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. A prenderne parte saranno i governi di Italia, Francia, Germania e Regno Unito, con lo scopo di promuovere una soluzione politica della crisi.

L’Egitto, alleato di Haftar, come già fatto nei giorni scorsi “condanna nel modo più forte” la decisione del Parlamento turco, come dichiarato dal ministero degli Esteri egiziano in un post su Facebook, affermando che si tratti di “una violazione della legge internazionale e delle risoluzioni Onu”. Il ministero, inoltre, “mette in guardia dalle conseguenze di qualsiasi azione militare turca in Libia e sulle sue ripercussioni, sottolineando che tale interferenza colpirà negativamente la stabilità della regione, la Turchia ne porterà la piena responsabilità”. Inoltre, l’Egitto “chiede alla comunità internazionale di agire secondo le proprie responsabilità con urgenza nel gestire questi sviluppi che minacciano un’escalation regionale”.

Per altri motivi, anche la Lega Araba ha condannato la decisione dell’assemblea di Ankara, come ha riferito la tv egiziana: “La Lega Araba afferma il proprio sostegno alla soluzione politica in Libia attraverso l’attuazione dell’accordo di Skhirat” del 2015.

Twitter: @GianniRosini

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