Le Camere hanno dato il via libera alla risoluzione di maggioranza sul fondo salva-Stati e approvato il mandato al premier Giuseppe Conte per trattare in Ue. Il governo, nonostante le tensioni e i malumori, ha superato la prova del Senato: quattro esponenti del Movimento 5 stelle hanno votato in dissenso con il gruppo, ma 165 sono stati i voti a favore (erano inizialmente 164 poi si è aggiunto il voto di Elena Cattaneo che per errore si era astenuta e poi ha corretto) e solo 122 quelli contrari. Al momento del voto le assenze dei Cinquestelle si fermano a 5 (4 in congedo e uno non giustificato). Il governo tiene nella Camera Alta, potendo contare comunque sul netto superamento di quota 161. A Montecitorio i sì erano stati invece 291, mentre 222 i no. Lì 14 deputati M5s non hanno partecipato al voto, ma di questi, 12 erano assenti “giustificati”. “Se temo ripercussioni per il governo dalle tensioni al Senato? No, non temo affatto ripercussioni. Con tutto il rispetto e la prudenza del caso, procediamo spediti. Adesso ci sono queste verifiche, questo esame del Parlamento, ma procediamo molto concentrati”, ha commentato il premier Conte.

Conte, nelle comunicazioni lette alle Camere poco più di una settimana dopo aver riferito sulla riforma contestata da Lega e Fratelli d’Italia, ha ribadito che il vero problema per i mercati “è un dibattito portato avanti in modo confuso“. La risoluzione approvata dal Parlamento prevede che il presidente del Consiglio porti avanti una proposta di riforma del meccanismo salva-Stati che rientri in una logica di pacchetto e a condizione che l’Aula sia sempre coinvolta. “Bisogna stare attenti”, ha detto Conte nel suo intervento, letto prima alla Camera e poi al Senato, “a insinuare paure e sospetti”. E ha anche accusato le opposizioni di spingere per “l’uscita dall’euro”. A Palazzo Madama è intervenuto lo stesso leader del Carroccio Matteo Salvini che ha rivendicato la sua “coerenza”, contro i 5 stelle e negando di “volere l’uscita” dalla moneta unica. Per il segretario Pd Nicola Zingaretti il segnale, malgrado le tensioni, è positivo: “Con il voto di oggi in Parlamento sulle risoluzioni sul pacchetto Ue il Pd ha ribadito e sostenuto la netta e inequivocabile scelta europeista a difesa dei risparmi delle famiglie e delle imprese italiane. Il governo ed il premier Conte hanno un mandato forte per vigilare sulla difesa degli interessi nazionali e del sistema Paese”.

Le tensioni dentro il Movimento 5 stelle e le voci di uscita dal gruppo – Per tutta la giornata gli occhi sono stati puntati sul comportamento dei 5 stelle in Aula. A Montecitorio sono mancati 14 voti, anche se, assicurano i referenti del gruppo, dodici di questi erano assenti giustificati. Nessuno ha votato contro. La situazione rimane molto più complicata in Senato, dove sono stati quattro i voti in dissenso con il gruppo: il primo a uscire allo scoperto è stato Stefano Lucidi che ha poi detto di non voler “fare il criceto sulla ruota”; poi sono seguiti Francesco Urraro e Ugo Grassi (quest’ultimo ha detto addirittura di non riconoscersi più nel Movimento); infine naturalmente, e non è una sorpresa, Gianluigi Paragone, che ha però voluto specificare non si tratta di una scelta “prodromica” al passaggio in un altro partito. E’ proprio questa la voce che circola sempre più insistentemente nei corridoi, anche se al momento non c’è stato nessun atto concreto. Di Maio ha accusato Salvini di aprire “il mercato delle vacche”. Ma il leghista gli ha risposto che “si tratta di coerenza”. Il problema per il capo politico 5 stelle è che la ferita nel gruppo è aperta da tempo e al momento è difficile prevederne le conseguenze. Il voto a Palazzo Madama ha però dimostrato che, malgrado le diserzioni, ci sono molti “responsabili” (si vocifera che facciano riferimento al senatore Pier Ferdinando Casini) pronti a sostenere la maggioranza.

I numeri: al Senato la maggioranza tiene, meglio che alla Camera – La maggioranza supera la prova del Mes ma arretra pericolosamente alla Camera passando dai 341 sì della fiducia al Conte bis ai 291 sì sul Mes. Un dato condito con il giallo dei 14 pentastellati assenti a Montecitorio, di cui 12 “giustificati” dal Movimento. A Palazzo Madama, dove il margine per la maggioranza è più stretto, la risoluzione incassa invece 164 sì. Quando nacque a settembre, il Conte bis ottenne 169 voti di fiducia a favore. L’asticella della maggioranza politica è a quota 161. Al momento del voto le assenze dei grillini si fermano a 5 (4 in congedo e uno non giustificato). Poi ci sono i no di Gianluigi Paragone, Francesco Urraro, Stefano Lucidi e Ugo Grassi. Tra i senatori in congedo o in missione, 19 in tutto, anche Matteo Renzi che è all’estero, i senatori a vita Giorgio Napolitano e Liliana Segre. Dieci senatori di Forza Italia, a quanto risulta dai tabulati, risultano “non partecipanti al voto”. Nel gruppo azzurro risultano assenti: Mario Biasotti, Paola Binetti, Andrea Causin, Raffaele Fantetti, Niccolò Ghedini, Massimo Mallegni, Marco Perosino, Paolo Romani, Maria Rosaria Rossi, Salvatore Sciascia. Non era in Aula neanche il Pd Tommaso Cerno.

Il discorso di Conte: “Un dibattito portato avanti in modo confuso rischia di indurre il sospetto”
Se dieci giorni fa il premier, parlando alle Camere, aveva respinto “le accuse gravissime” delle opposizioni, questa volta ha evitato il confronto diretto con Lega e Fratelli d’Italia e ha chiesto invece maggiore responsabilità nell’affrontare un discorso così complesso. Sulla riforma del meccanismo europeo di stabilità, è stato l’esordio, “bisogna stare attenti a insinuare dubbi e paure nei cittadini italiani, tanto più che quantomeno alcune delle posizioni che si sono delineate nel corso del dibattito pubblico hanno disvelato il malcelato auspicio di portare il nostro Paese fuori dall’eurozona o, addirittura, dall’Unione europea”. E ha aggiunto: “Se questo è l’obiettivo allora converrebbe chiarirlo in modo esplicito, affinché il dibattito pubblico sia trasparente e i cittadini italiani possano essere informati di tutte le implicazioni che tali posizioni portano con sé. Vero è che un dibattito portato avanti in modo molto confuso rischia di indurre il sospetto, nei mercati e nelle istituzioni internazionali, che siamo noi stessi a dubitare dell’impegno assunto di mantenere il debito su un sentiero di piena sostenibilità: questo sì che sarebbe un modo per danneggiare il risparmio degli italiani. L’Italia in particolare non ha nulla da temere anche perché il suo debito è pienamente sostenibile, come dimostrano le valutazioni delle principali istituzioni internazionali, inclusa la Commissione, e come confermano i mercati”.

In ogni caso, ha continuato il premier, al Consiglio europeo “la posizione del governo sarà sempre coerente con gli indirizzi delle Camere”. “Non è, questo, nella famiglia europea il tempo per dividersi o per lasciarsi dividere. Le tensioni internazionali, sia politiche sia economiche, impongono di proteggere l’economia europea e la dimensione sociale che rende unico al mondo il nostro continente. Ma proteggersi non significa rinchiudersi“.

Durante gli interventi che hanno seguito le comunicazioni di Conte, a Montecitorio ci sono stati momenti di tensione. Dai banchi del centrodestra i deputati hanno gridato “venduti” all’indirizzo dei dem mentre parlava la deputata Pd Lia Quartapelle, che a giugno fece un intervento critico sulla riforma del Mes. Dal canto suo il leghista Claudio Borghi ha accusato Conte di aver “offeso il Parlamento, umiliando Di Maio, che gli sedeva accanto”. “A giugno il mandato era solo uno, che quel trattato l’Italia non lo avrebbe firmato”, ha sostenuto. “Cosa non capiva? Cosa posso pensare se sento che il trattato è chiuso? Che lei è un traditore signor presidente, un traditore“.

Salvini in Senato: “Non voglio l’uscita dall’euro”
“Noi non abbiamo progetti per far uscire l’Italia dall’euro e dall’Europa ma semplicemente vogliamo difendere il lavoro e il risparmio degli italiani”. Nel corso delle dichiarazioni di voto in Senato ha preso la parola il senatore e leader del Carroccio Matteo Salvini. Che ha ribadito il suo no alla riforma del meccanismo salva-Stati. Il leghista ha quindi letto tutti i nomi degli accademici che criticano il Mes. E i senatori di maggioranza, come per le litanie dei santi, ad ogni nome hanno risposto “‘Ora pro nobis’, prega per noi”.

Salvini a quel punto è stato interrotto da Davide Faraone di Italia viva, al quale due senatori leghisti hanno urlato “str***”. “Avere avuto il coraggio di esporsi in un momento in cui vale conformarsi, merita la citazione nell’Aula del Senato e non vorrei venissero marchiati di infamia con una stella gialla perché hanno avuto il coraggio di dire no. Non hanno svenduto la coerenza per salvare la loro poltrona a differenza di altri, non fanno parte di un’Internazionale sovranista”. E ha parlato di una vera e propria “lista di proscrizione”. “La sinistra una volta era nelle piazze, ora preferisce i cda delle banche ai consigli di fabbrica delle aziende. Che triste fine. Noi ostinatamente continuiamo ad ascoltare i cittadini che in 500 mila hanno detto No a questo trattato. Sono 500 mila terroristi?”. Quindi ha chiuso: “Tra i punti di questo trattato c’è anche lo scudo penale dei suoi membri: in questa aula qualcuno toglie lo scudo all’Ilva per darlo ai membri del Mes. Andate a spiegarlo agli operati di Taranto che lo scudo non vale a Taranto, ma a Bruxelles”. Quest’ultimo passaggio è stato poi smentito dal ministro dell’Economia Gualtieri: “Si tratta di una fake news”, ha dichiarato”.

La risoluzione: “Mantenere logica di pacchetto, pieno coinvolgimento Camere” – La maggioranza ha trovato nella notte un accordo sul testo della risoluzione che ha poi ricevuto il via libera delle Camerre. “Assicurare la coerenza della posizione del governo con gli indirizzi definiti dalle Camere, e il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro dell’unione economica e monetaria e sulla conclusione della riforma del Mes“, è uno dei passaggi chiave del testo, che dà mandato al premier di proseguire nella logica di “pacchetto” con unione bancaria e garanzia dei depositi. E chiede ovviamente di “escludere qualsiasi meccanismo che implichi una ristrutturazione automatica del debito pubblico“. Si punta poi a “escludere interventi di carattere restrittivo sulla detenzione di titoli sovrani da parte di banche e istituti finanziari e comunque la ponderazione dei rischi dei titoli di stato attraverso la revisione del loro trattamento prudenziale“.

In ogni caso “ci sarà un nuovo round in Parlamento a gennaio, prima del prossimo Eurogruppo”, fanno sapere fonti del Movimento 5 Stelle. “Ogni decisione verrà presa ascoltando le Camere, non firmeremo nulla al buio”. A livello Ue una decisione importante è già stata presa: la firma del nuovo trattato è rinviata all’anno prossimo, a valle di alcuni approfondimenti tecnici. L’accordo tra i governi è dato per chiuso. Ma in Italia la materia resta incandescente sul piano politico, con le opposizioni che continuano ad attaccare e la Lega che raccoglie firme in piazza per fermare la riforma.

La maggioranza impegna il governo a “proporre nelle prossime tappe del negoziato sull’Unione bancaria l’introduzione dello schema di assicurazione comune dei depositi (Edis), di un titolo obbligazionario europeo sicuro (cosiddetto common safe asset – ad esempio eurobond) e di una maggiore ponderazione di rischio delle attività di livello 2 e livello 3 (strumenti maggiormente illiquidi), che sia legata al loro grado di concentrazione sul totale degli attivi del singolo istituto di credito”. Nel testo, 8 pagine in tutto, si rimarca anche l’impegno ad “assicurare la coerenza della posizione del Governo con gli indirizzi definiti dalle Camere, e il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro dell’unione economica e monetaria e sulla conclusione della riforma del Mes”. In particolare, si prevede “il pieno coinvolgimento del Parlamento in un’eventuale richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità con una procedura chiara di coordinamento e di approvazione“.

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