Era già successo. Non è la prima volta che accade e, purtroppo, non sarà l’ultima. Una madre anziana che prova a togliersi la vita ingerendo una massiccia dose di farmaci e dopo uccide la figlia disabile.

È terribile, è orribile, è incomprensibile a chi non vive la disabilità di un figlio gravissimo e vede il tempo passare inesorabile.
Nessuno potrà stare accanto ad un figlio disabile grave come un genitore. Nessuno potrà nemmeno lontanamente accudire un figlio disabile come una madre. Nessuno.

Questo la anziana mamma di Orbassano se lo sarà ripetuto un miliardo di volte da sola e con suo marito.
Anche quando, costretta dopo quarantaquattro anni di vita insieme, avevano deciso che una residenza protetta sarebbe stata la condizione migliore per la loro figlia.

La vita con un figlio disabile scorre su altri binari, riserva emozioni e delusioni incomparabili se paragonata a quella con un figlio cosiddetto normale.
Gli anni passano, diventa sempre più difficile prendere in braccio, lavare, imboccare un figlio disabile.
Gli anni passano e con loro si avvicina il pensiero più atroce per un genitore: senza di me che cosa farà mio figlio?

Sembra una follia il gesto della anziana mamma piemontese. Non lo è.
È un grido nel vuoto del nostra ignavia.
È un urlo che dovrebbe lacerare i nostri timpani e aiutarci a riconoscere le priorità.
Non è così.
Purtroppo.

P.s. allo stato attuale, il nostro Paese non ha una legge sui caregiver e il fondo della non autosufficienza è inferiore almeno di 7 volte (!) ai bisogni dei disabili gravissimi.

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