Le notizie sui disastri degli effetti dei cambiamenti climatici, al nord come nel sud del Paese, sono ormai all’ordine del giorno. Da diversi anni, oltre a intensificarsi in forza distruttiva, tali eventi si susseguono con sempre maggiore frequenza.

Le Nazioni Unite, attraverso il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) pubblica regolarmente allarmi per i decisori politici che, a oggi, con poca efficacia e ancor meno efficienza, hanno cercato di affrontare la situazione; prima con il Protocollo di Kyoto, firmato nel 1997, ma entrato in vigore nel 2005, e poi con i recenti Accordi di Parigi del 2015, che puntano alla decarbonizzazione della società entro il 2050, quale unica possibilità per mantenere i livelli di aumento della temperatura media globale entro i limiti di sicurezza di 1,5-2,0°C.

L’Unione europea si è già data l’obiettivo di ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti di almeno il 40% entro il 2030, quale passo obbligato verso la piena decarbonizzazione. E di recente il Parlamento europeo, sostenuto da alcuni Stati membri, ha proposto di puntare a una riduzione del 55%, obiettivo sul quale anche la nuova Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen intende convergere. Ci sarà battaglia tra le proposte che arrivano dai gruppi ambientalisti che richiedono un impegno di riduzione di almeno il 65% e quei Paesi (in particolare, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca) che si mostrano ancora riluttanti.

Il nostro Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), che dovrà essere finalizzato entro la fine dell’anno, si ferma a un 37-38% di riduzione delle emissioni climalteranti, senza peraltro nemmeno esplicitarlo. Sarebbe stato utile leggere nel Pniec i diversi scenari con taglio delle emissioni al 40, 50 e 60% e confrontarsi poi su costi e opportunità. Inoltre, ancor più preoccupante, prevede che al 2040 l’Italia continui a essere dipendente da fonti energetiche estere (per lo più gas) per circa il 67%.

Come si farà a passare da una tale dipendenza, solo otto punti percentuali in meno rispetto al 75% previsto al 2020, alla piena decarbonizzazione nei successivi dieci anni? Questa traiettoria poco lineare desta qualche sospetto e la stessa Commissione Europea, nei commenti al nostro Pniec, l’ha segnalato. A molti è chiaro che ciò non sia credibile.

C’è rispondenza tra gli allarmi e i moniti arrivati adesso addirittura da parte delle giovani generazioni e le azioni dei governi? Non sembra proprio, almeno in Italia. Passati alcuni giorni di copertura mediatica a seguito di disastri sempre più annunciati, ce ne dimentichiamo. Per non parlare del dibattito politico, inesistente e che non va oltre gli slogan o qualche timida azione ove la mancanza di una “strategia” e di una “visione” si fa sempre più evidente. Per non parlare della superficialità e banalità con le quali i temi del cambiamento climatico vengono affrontati (nei rari casi) nei talk show politici.

Da sempre il nostro Paese difetta di una chiara politica energetica basata sulle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica e un’ancor meno chiara visione di abbandono delle fonti fossili. Azione questa che si dovrebbe dare per scontata vista la quasi totale dipendenza del nostro paese dalle fonti energetiche (fossili) provenienti dall’estero. Con un chiaro richiamo alle città nel Pniec sarà più facile recepire i segnali che arrivano dai territori e magari accelerare, ad esempio, le sperimentazioni in atto sulle prime “comunità energetiche sostenibili” che stravolgeranno il panorama energetico per come lo conosciamo oggi.

È necessario che il Governo ascolti le città e i territori, così come i diversi portatori di interesse che, nella fase di consultazione al Pniec, hanno chiaramente espresso il desiderio di vedere uno sviluppo energetico nazionale “diverso”, al fine di valorizzare al massimo le potenzialità di sviluppo sostenibile del Paese.

Di recente in Danimarca, l’Agenzia nazionale per l’energia ha reso note alcune proiezioni ove si prevede che entro il 2028 il 100% dell’elettricità nel Paese scandinavo sarà da fonte rinnovabile. Perché nel Pniec non vi è alcun riferimento a obiettivi veramente strategici per il nostro Paese, vista la fortuna che abbiamo in termini di presenza di fonti rinnovabili – solare ed eolico, biomasse, per non parlare della geotermia a bassa entalpia che ha enormi potenzialità – sul nostro territorio?

La risposta è semplice: si è scelto di puntare sul gas, con buona pace degli impegni assunti, degli ambientalisti e di quei politici che sono stati eletti per le battaglie portate avanti per bloccare progetti faraonici per far giungere in Italia il gas dall’Asia, anche se poi ci hanno ripensato.

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