Aveva annunciato il suo addio alla Juventus women appena una settimana fa. Un addio inaspettato, a stagione in corso, e che lei stessa sui social aveva definito “molto difficile”. Eniola Aluko, attaccante britannica di origine nigeriana, ha spiegato sul suo blog pubblicato giovedì su The Guardian i motivi della sua scelta che poco dipendono dal calcio, molto dalla città che l’ha ospitata. “Alla Juventus ho lavorato con persone brillanti – scrive Eniola, citando l’allenatrice Rita Guarino, alcune compagne e alcuni uomini cardine dello staff tecnico – ma a volte Torino sembra indietro di un paio di decenni per quanto riguarda l’apertura nei confronti di diversi tipi di persone. Mi sono stancata di entrare nei negozi e avere la sensazione che il proprietario si aspetti che rubi qualcosa”.

Per la calciatrice inglese, autrice di 16 gol nella sua prima stagione in bianconero, il razzismo in Italia è un problema serio e sottovalutato: “Tante volte arrivi all’aeroporto di Torino e con i cani antidroga sei trattata come Pablo Escobar. Non ho mai subito episodi di razzismo dai tifosi della Juventus o nel campionato femminile – ha spiegato nel blog – ma c’è un problema in Italia e nel calcio italiano e quello che mi preoccupa davvero è la risposta a tutto questo da parte di proprietari e tifosi che, nel calcio maschile, sembrano considerare tutto questo come parte della cultura dei fans”.

Nelle settimane del caso Balotelli a cui sono seguite le parole del presidente Massimo Cellino (“È nero, sta lavorando per schiarirsi…”), la denuncia di Aluko non sembra affatto peregrina. Ma è la prima volta che è una calciatrice che milita nella Serie A femminile italiana a portare il tema all’attenzione dei media. Soprattutto se, secondo quanto scrive Eniola, la diffidenza verso il diverso è stata la causa principale dell’addio alla squadra con cui ha condiviso solo successi. “Se il club vuole continuare ad attirare i talenti dell’Europa in Italia, è necessario concentrarsi sul far sentire gli internazionali a casa e una parte importante del progetto a lungo termine”, aggiunge.

Arrivata a Torino nell’estate del 2018, Eniola Aluko, stella della nazionale inglese, ha sposato il progetto della neonata Juventus women, vincendo uno scudetto e una Supercoppa: “La Juventus e il campionato hanno più cambiamenti da fare se vogliono competere con i migliori d’Europa – continua il post – Ci sono voci di un passaggio dallo status amatoriale a quello professionale per le donne in Italia, il che sarebbe un grande passo”. Domenica giocherà la sua ultima partita in bianconero, lo scontro diretto con la seconda in classifica, la Fiorentina: “È un match importante nella corsa al titolo contro una rivale chiave. Non vedo l’ora di salutare i tifosi della Juventus che mi hanno mostrato rispetto e sostegno. Domenica torno a casa”, conclude.

Ad Aluko ha risposto la sindaca Chiara Appendino, soffermandosi in particolare su una frase (“A volte la città mi è sembrata 20 anni indietro”). “Queste dichiarazioni pesano come un macigno. Pesano perché si riferiscono a valori universali, come quelli dell’accoglienza e della lotta alle discriminazioni. Pesano perché la storia di Torino è una storia di porte aperte, non chiuse. Pesano perché oggi, purtroppo, nel nostro Paese episodi di discriminazione sono tornati a diffondersi”, esordisce al prima cittadina del M5s.

“Negli ultimi tempi qualcosa in Italia è cambiato. In alcuni frangenti si è tornati a legittimare pensieri e comportamenti che dovevano rimanere sepolti per sempre, nelle pagine più vergognose dei libri di storia. Studiati sempre troppo poco. Ma non mi rassegno io, non si rassegnano migliaia di cittadini che quei pensieri li combattono ogni giorno, non si rassegna Torino. Perché Torino non è così”, aggiunge.

Quindi si rivolge direttamente alla calciatrice: “Vorrei dire a Eniola e a quanti, nel silenzio, hanno subìto episodi simili, che ad essere tornata venti anni indietro non è la città, ma sono solo alcune persone. Che non rappresentano altro che loro stesse”, dice Appendino. “Torino invece è sempre qui. Consapevole delle difficoltà, ma profondamente determinata nel rifiutare che queste possano essere ridotte al colore della pelle, alla religione, o a qualsiasi altra caratteristica della persona”, aggiunge dicendo “convinta” che la discriminazione “si combatta con risposte culturali e politiche, a tutti i livelli, che non possono tardare ad arrivare”.

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