Chi insegna ai ragazzi a dare un nome alle emozioni, a parlare di cosa provano? All’Istituto tecnico Zanon l’educazione di genere si impara a scuola, come la matematica e la geografia. RispettAMI!, progetto per educare ai sentimenti e prevenire la violenza di genere, è nato tre anni fa per rispondere, come comunità e come istituzione formativa, a una tragedia: la morte di un’ex studentessa, Nadia Orlando, uccisa dal suo ex fidanzato nel 2017. “Al primo collegio docenti ci siamo detti: nessuno deve uscire da questa scuola senza sapere cosa sia l’educazione di genere”, spiega la professoressa Alessandra Jelen, che ha ideato il progetto insieme ad altri due insegnanti, Gianpaolo Lucca e Grazia Romeo. “L’obiettivo è guidarli attraverso la giungla delle emozioni indistinte per farne uscire degli adulti più consapevoli“.

Il progetto RispettAMI!, arrivato quest’anno alla terza edizione, coinvolge 34 classi dello Zanon nella sua fase “indoor” e circa 400 ragazzi di altre scuole secondarie superiori della città. Prevede percorsi differenziati per classi e età: si parla di rispetto, di eguaglianza, ma anche di educazione e del tetto di cristallo. Non in classe, ma in un ambiente più intimo e raccolto, l’Angolo di Nadia, un’area nella biblioteca creata con le donazioni della famiglia Orlando: in questo modo la memoria di Nadia viene onorata con la riflessione continua e l’educazione al rispetto dei più giovani. “All’inizio era un’esigenza dei docenti – racconta la professoressa Jelen – qualcosa bisognava fare, perché siamo un’istituzione pubblica educativa. Abbiamo fatto formazione con degli psicologi e, superata la delicata fase del primo anno, abbiamo capito che era importante insegnare agli adolescenti a mettere a fuoco i sentimenti proprio nell’età in cui si evolve l’intelligenza emotiva“.

Quando si parla di educazione all’affettività, le iniziative delle scuole funzionano un po’ a macchia di leopardo: molto dipende dalla buona volontà dei docenti e delle istituzioni locali. Non è scontato che i ragazzi – o gli adulti – sappiano cosa sia l’educazione di genere. “Ho chiesto ai ragazzi se si erano mai occupati di questi temi: su otto classi solo due avevano sentito parlare di educazione ai sentimenti, gli altri non avevano idea di cosa fosse – continua la professoressa – ma nemmeno i docenti: non è un caso se nel gruppo di 25 insegnanti che da tre anni se ne occupano ci siano solo cinque maschi. Molti dicono non ci sia un’emergenza, mentre i ragazzi riconoscono che c’è un problema e rispondono molto bene a queste attività”.

Il percorso educativo inizia nella settimana della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, e prevede diverse tappe, incontri e una staffetta di lettura. Quest’anno c’è anche un’impresa come partner del progetto, Molino Moras, che lavora per un miglioramento per la relazioni tra sessi in azienda. Insieme a Cooperativa sociale Futura hanno creato l’evento #MaipiùBarbablù, il lieto fine comincia dall’inizio, una rilettura della famosa fiaba di Perrault. In quell’occasione i ragazzi hanno ricevuto un ‘Quaderno dei sentimenti’ per continuare la riflessione in classe. “Abbiamo intercettato un loro bisogno: ho visto che c’è una grande disponibilità ad ascoltare e che, quando iniziano a raccontarsi, sono incontenibili. Maschi e femmine si esprimono in modo paritario, molto spesso si emozionano parlando o ascoltando altri e escono con la sensazione che si sia aperta una porta“, aggiunge la professoressa. “Alla fine i ragazzi ringraziano i docenti di averli portati”. L’anno scorso una delegazione di studenti dell’istituto è stata anche ricevuta dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che per questo progetto ha premiato l’istituto con una medaglia.

Il vero problema degli istituti scolastici, conclude la docente, è la formazione degli insegnanti: “Non si può affrontare le cose partendo da ‘ai miei tempi’ né a scuola, né in qualsiasi altra professione: un chirurgo non si sognerebbe mai di operare come trent’anni fa, e allo stesso modo anche i docenti devono essere sempre aggiornati. Curare la formazione didattica dei docenti in ingresso è una responsabilità dell’amministrazione, spesso gli insegnanti di nuovo ingresso pensano di dover perpetrare in eterno un modello di scuola che coincide con quello di quando erano studenti: ma anche quello che facciamo noi è scuola, nel senso più ampio e nobile del termine”.

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