Proprio mentre un’altra anomala ondata di precipitazioni meteorologiche sta mettendo in ginocchio l’Italia – e tutti s’interrogano sugli effetti nefasti del cambiamento climatico -, a Napoli si possono fruire di ben due mostre a tema: al Museo archeologico va in scena la spettacolare exibition-experience – come si suol dire angloriosamente – intitolata “Capire il cambiamento climatico”, curata da Luca Mercalli; e in piazza Municipio tutti vedono una splendida installazione di facile e notevole impatto, con cento famelici lupi di metallo da tre quintali l’uno che assediano un guerriero: così l’artista cinese Liu Rouwang vuole raccontare “in maniera allegorica la ribellione della natura alle devastazioni dell’uomo”.

L’inaugurazione di quest’ultima è diventata anche un piccolo evento politico, perché si è assistito all’imprevisto passaggio delle consegne all’assessorato alla Cultura. Il sindaco Luigi De Magistris ha estromesso Nino Daniele, già sindaco del riscatto di Ercolano, che in pochi anni con le deleghe anche al Turismo ha saputo dare un contributo decisivo all’immagine cult di Napoli, restituendo il livello di una meta da Gran Tour contemporaneo.

A un posto che è stato appunto decisivo, nonché il più luminoso della giunta – come si è visto anche solo dalle reazioni sdegnate di tanti intellettuali – , è stata catapultata dal centro sociale Insurgencia Eleonora De Majo, contro cui si è subito levata la selva dei tweet e delle dichiarazioni di Lega e Fratelli d’Italia, per via di alcune controverse prese di posizione su Israele. La nomina fa parte di un più ampio rimpasto voluto da Luigi De Magistris forse per meglio preparare un eventuale balzo della lista DemA alla dimensione regionale; nel caso di Daniele, inoltre, potrebbe esserci stato un interesse a togliere visibilità a un personaggio spendibile come candidato sindaco dal centrosinistra alle prossime elezioni.

Sia quel che sia, i lupi erano già arrivati, come suggerisce il titolo di Liu Rouwang (Wolves coming, appunto: arrivano i lupi), che va letto al presente storico di Napoli. Di quella Napoli che poteva essere un laboratorio del cambiamento.

Da alcune settimane, per esempio, nella grande fiera dell’ipocrisia e dell’inquinamento morale che è la televisione, si è rinvigorita la solita vecchia e brutta immagine della città camorrista, di una camorra che ovviamente sembra sempre più da telefilm, stile Gomorra, perfetta persino per le luci del varietà, una domenica dopo l’altra. E certo è sconfortante pensare che ci sia stata una compiacenza più o meno diretta dinanzi all’occupazione di suolo pubblico per la cerimonia di nozze della ex moglie di un boss con il noto cantante neo-melodico.

Ed è solo un’aggravante, kolossal e di straforo, della scelta istituzionale di affidare spesso e volentieri gli spazi più in vista della città, come quelli sul lungomare, alle solite sagre della bancarella o, peggio ancora, a riti festaioli che qualche improbabile genio del marketing ha ribattezzato addirittura “pizza village“. Viene il sospetto che anche la svolta sulla cultura, lanciata con il programma di “valorizzare di più gli artisti di strada”, insista su questa linea.

Ora, la cultura, la buona cultura, soprattutto se di taglio così internazionale e contemporaneo come ha saputo proporre Daniele, è un vero e proprio argine contro il degrado morale: attrae turisti e visitatori che non siano interessati esclusivamente alla riverniciata anglo-markettese dello stereotipo “pizza e mandolino”, e rianima le buone energie locali, che non mancano. Infine, ma non ultimo, incoraggia le giovani generazioni a non farsi sedurre dai modelli più triti e ritriti.

In fondo, è la sfida tra chi pensa che possano davvero convivere insieme i colori come nell’arcobaleno, invece del solo bianco e nero: se porti a Napoli con le loro opere così contemporanee artisti di fama mondiale come Jan Fabre, Anselm Kiefer o appunto Liu Rowang, fai vedere chiaro e tondo che la scelta non è sempre solo tra giudici e delinquenti, tra Serpico e Toni Soprano, tra i Masaniello e i Savastano.

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