“Il giovane corre veloce, ma è il vecchio che conosce la strada”, recita un antico detto maori, che pare esser stato vergato per i Management, duo hard-pop formato dal cantante e autore dei testi, Luca Romagnoli, e dal polistrumentista Marco Di Nardo, saliti alla ribalta già da qualche anno, dopo aver pubblicato dischi dal sound punk-rock nostrano e caratterizzati da una forte connotazione socio-politica.

“Ci chiedono di continuo se siamo ancora arrabbiati – dice Luca Romagnoli, che ho intervistato per il mio blog in occasione dell’uscita del loro nuovo album Sumo – e la risposta è no. Adesso la nostra è una ricerca intima e abbiamo voluto sottolineare questa nuova strada cambiando il nome, per dire che non vogliamo essere rappresentati nemmeno dall’immaginario che noi stessi avevamo creato. In un altro periodo delle nostre vite abbiamo mostrato gli eccessi della giovinezza, quando si crede di essere immortali. Poi, a 35 anni, basta una gastrite o un reflusso gastrico per ridimensionarsi di brutto…”.

Il 13 novembre è uscito Sumo, quinto capitolo della loro discografia, il cui titolo è una metafora per indicare il tempo: “questo tempo bastardo/ non fa mai un ritardo/ è un lottatore di Sumo”, cantano nella title track. Ed è il primo che va sotto l’insegna Management, dopo la riduzione del nome dall’originale Management del Dolore Post-Operatorio: un cambio che sta a indicare una rinascita artistica, oltreché la succitata nuova maturità acquisita.

Sumo è il disco più sincero che abbiamo mai inciso. Personalmente, la rabbia che avevo prima nei confronti della società si è amplificata con la morte di mia madre, ed è diventata ancora più difficile da gestire. Dico basta alla rabbia vomitata in un modo che poi, oltretutto, alla gente piace, perché ama la tragedia, soprattutto quando non è la propria, ma di chi sta sul palco. Parlando col cuore direi ‘ti sto parlando di me, per la prima volta, con questo disco. Quello che hai conosciuto prima, il personaggio che indossava i pantaloni bicolore per caratterizzare la propria maschera, era un altro. Eravamo altri. È ovvio, la maschera in questo ambito funziona, l’ha detto anche Mick Jagger, ‘consiglio agli artisti di non togliere mai la maschera’, ma io non ce la faccio più. C’è chi come ai Kiss porta in scena sempre la stessa maschera e chi come noi non ce la fa più a indossarla. Non vogliamo andare dal chirurgo plastico per fare il lifting alle nostre emozioni”.

Disco elettro-cantautorale di un certo spessore, stilisticamente più simile a uno dei Thegiornalisti che a uno dei loro pubblicati in precedenza, i testi sono più riflessivi ma meno immediati: è composto da dieci brani dal sound prevalentemente pop (spiccano Avorio, Sto impazzendo e Come la luna) e l’album si chiude con una sorta di esperimento, una collective song scritta insieme con i follower dell’account Instagram del Management, Sessossesso, casualmente (!?) il pezzo meno riuscito.

Sumo è stato registrato presso l’Auditorium Novecento di Napoli, lo storico studio della Phonotype, dove negli anni Sessanta vennero registrati alcuni dei lavori più significativi della canzone d’autore napoletana: “Mentre registravamo – racconta Luca Romagnoli – pensavamo al fatto che personaggi che hanno fatto la Storia come Totò, Murolo ed Eduardo erano stati lì e ci venivano i brividi: stavamo calpestando lo stesso pavimento, toccavamo gli stessi strumenti che avevano utilizzato loro. Abbiamo cercato di riprodurre il senso di quella storia, attualizzandola”.

Qui, Roberto Murolo incise Luna rossa, storico brano che ha in parte anche ispirato la copertina dell’album, che raffigura una luna rossa sullo sfondo bianco, che richiama la bandiera del Giappone a cui il titolo del disco, Sumo, fa riferimento.

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