Ricordate gli Echo & the Bunnymen? Tornano in Italia per una singola data, all’interno della tredicesima edizione del Barezzi Festival. Il concerto si terrà, venerdì 15 novembre, alle ore 20:30, presso l’esclusivo Teatro Regio di Parma, (info biglietti qui).

Vediamoli “in superficie” mediante i consueti nove punti di questo blog.

1. Ancor prima dei Bunnymen, occorre menzionare i Crucial Three: Ian McCulloch, Pete Wylie e Julian Cope. Ma durano il tempo dell’autunno: Cope e Wylie, alla fine del 1977, formarono rispettivamente i Teardrop Explodes e i Wah! McCulloch, non rimase certo a guardare; insieme al chitarrista Will Sergeant e il Bassista Les Pattinson, nell’estate del 1978, iniziò a registrare demo con una drum machine chiamata affettuosamente “Echo”. Solo successivamente entrò a far parte della formazione il batterista Pete De Freitas (deceduto nel 1989).

2. Siamo intorno al 1978. Qualcuno lo chiama post punk (ma è una definizione postuma), altri new wave. Quel che è certo è che parliamo di una fase in cui la musica riusciva nuovamente a reinventarsi: sonorità declamanti, affabulazioni sintetiche, reiterazioni distorte. E ancora: percussioni brutali, oscurità indefinibile e, in fondo al tunnel, uno squarcio nel buio, il cui bagliore illumina a giorno il caleidoscopico mondo degli anni 80.

3. Ma come è possibile definire la musica di McCulloch e soci? Possiamo forse parlare di una riflessione oscura e vorticosa degli stilemi postpunk? Eccome! D’altronde, gli anni sono quelli, nonostante la psichedelia filtri con soluzione di continuità. Possiamo, inoltre, affermare che l’ego di McCulloch sia stato nutrito ascoltando The Rise and Fall of Ziggy Stardust di David Bowie? Per sua stessa ammissione è cresciuto adorandolo. È inutile, non è possibile evocare certa musica senza scomodare la fonte, l’origine; il Duca Bianco ha tracciato il solco, gli altri lo hanno percorso.

4. Orientando lo sguardo sugli esordi, è doveroso annoverare Echo & the Bunnymen tra i cosiddetti “gruppi matrice”, ovvero tra coloro che in origine hanno tracciato le coordinate di un segmento estremamente frazionato. Parliamo di artisti e formazioni stilisticamente diversi tra loro, distribuiti all’interno di un percorso elitario, ma che il tempo – come sappiamo – ha regolato sotto un unico denominatore: la new wave.

5. Gli Echo incidono il loro primo disco per Korova Records, etichetta indipendente che annovererà, tra gli altri i Sound dell’indimenticato Adrian Borland. Crocodiles riceve il plauso immediato della critica. Un esordio scoppiettante le cui influenze paiono evidenti: Bowie, The Velvet Underground e The Doors. La stampa, a quei tempi, avida di neologismi, li definì “neo-psichedelici”; un termine che “Mac” storicamente ha sempre detestato.

6. Se chiedi a Ian McCulloch quale sia la più grande canzone di tutti i tempi, la risposta sarà inequivocabile. Forse potrebbe citare un pezzo dei suoi eroi conclamati? Chessò, Bowie, Lou Reed, i Velvet Underground, Leonard Cohen? Ma neanche per sogno! Ti dirà, senza esitare che: “Nessuno ha una canzone come The Killing Moon, nemmeno David Bowie”. Ci siamo capiti? Il personaggio in questione non difetta in personalità, notoriamente dice quel che pensa. Proverbiali restano le critiche lanciate ai “colleghi” tramite mezzo stampa: “Bono Vox? Pensa per davvero di essere a capo della più grande rockband del pianeta, qualcuno lo aiuti”. Amen.

7. Seven Seas, Ocean Rain, per citarne due: sono canzoni senza tempo i cui testi appaiono come fossero rivelazioni. Fate attenzione, la nostalgia qui non c’entra nulla. Evitiamo di scivolare dentro l’ennesima operazione amarcord, anche perché la band ha continuato a sfornare ottimi dischi. Piuttosto, concentriamoci sulla resilienza insita nel cuore poetico di un artista in grado di intrecciare melodie brillanti e testi, come detto, “definitivi”.

8. Per un certo periodo degli anni 80 niente e nessuno ha potuto fermare i Bunnymen. Ciò è comprovato dalla realizzazione di album imprescindibili: Crocodiles (1980), poi Heaven Up Here (1981), Porcupine (1983), Ocean Rain (1984) e infine l’omonimo (1987). Ognuno, a modo suo, più grande di quello precedente; magari non erano dischi perfetti, ma entro quei solchi sono diversi i capolavori definitivi: chitarre acustiche, composizioni per archi, pulsioni elettriche, ritmi circolari. E poi la voce: una dichiarazione d’intenti.

9. Il concerto è inserito all’interno della 13esima edizione del Barezzi Festival che si terrà dal 15 al 17 novembre al Teatro Regio di Parma. Il Festival, la cui direzione artistica è affidata al suo ideatore Giovanni Sparano, è ispirato alla figura di Antonio Barezzi (mecenate che per primo riconobbe il talento del giovane Giuseppe Verdi, sovvenzionandone gli studi) e avrà il suo quartier generale all’interno del Teatro Regio di Parma, dove si terranno tutti i concerti del Main e del Ridotto Stage. Il concerto della band di Liverpool sarà anticipato dal bravo Fil Bo Riva, nome d’arte del cantautore Filippo Bonamici, 26enne nato a Roma e cresciuto tra Dublino e Berlino e che quest’anno ha pubblicato l’album d’esordio Beautiful Sadness.

Infine, nel foyer del teatro, prima del concerto, troverete il sottoscritto pronto per una selezione musicale rigorosamente a tema e in onore dei Bunnymen. Se a diciotto anni, mentre mi nutrivo “a pane e Killing Moon”, mi avessero detto: “Un giorno sarai invitato a metter dischi in un festival di fama internazionale, prima degli Echo & the Bunnymen”, mi sarei fatto una sonora risata.

Vi lascio con la consueta playlist di 9 canzoni 9 dedicata a Ian McCulloch e soci.

Buon ascolto.

9 canzoni 9 … by Echo & the Bunnymen

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