C’erano Cera e Niccolai, Scopigno in panchina. C’era soprattutto Gigi Riva, Rombo di tuono. Era il Cagliari dello scudetto, che ha fatto la storia del calcio italiano (e non solo). Cinquant’anni dopo non ci sarà un altro Cagliari così, non ci sarà mai probabilmente. Però c’è di nuovo un grande Cagliari, addirittura da Champions League. Terzo posto (a pari merito con la Lazio), sette vittorie in dodici gare: mai i rossoblu erano stati così forti e così in alto in classifica. Dai tempi dello scudetto, appunto. Nemmeno la squadra di Oliveira e Francescoli a inizio Anni Novanta (che poi finì sesta), o quella di Gianfranco Zola a metà Anni Duemila erano partite così bene.

In questo momento il Cagliari è la storia più bella che ha da raccontare la Serie A. Il classico miracolo del calcio di provincia. Anche se la Sardegna ha sempre fatto storia a sé, è calcio isolano. E anche parlare di miracolo non è del tutto appropriato: non c’è nulla di casuale nei risultati dei rossoblù. C’è un allenatore preparato, Rolando Maran, con alle spalle anni di gavetta e tattiche. C’è un presidente ambizioso, Tommaso Giulini, che si è fatto le ossa (anche a costo di qualche delusione) e ora si muove con naturalezza nelle acque del pallone italiano. C’è un gruppo di giocatori che unisce quantità e qualità, giovinezza ed esperienza, corsa e talento. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per vincere e convincere. E il Cagliari lo sta facendo.

Quest’estate Giulini si è trovato di fronte alla necessità di vendere Niccolò Barella, il talento più puro prodotto dalla Sardegna dai tempi di Zola: impossibile tenerlo ancora, quando ti ritrovi un titolare della nazionale cercato da tutte le big. Giulini l’ha venduto all’Inter (che proprio in questo weekend ha visto brillare il suo gioiello), cercando di monetizzare il più possibile dalla cessione. Ma soprattutto i soldi, tanti, incassati dai rossoblu (potrebbero arrivare fino a quota 45 milioni) non se li è infilati in tasca per sistemare i bilanci in attesa di tempi peggiori, come fanno tante proprietà in giro per l’Italia, ma li ha reinvestiti per allestire una squadra ancora più forte. Nandez dal Boca Juniors, Rog dal Napoli, Pellegrini in prestito dalla Juve, l’occasione Nainggolan colta al volo. Non si è nemmeno accontentato, perché quando a fine mercato si sono infortunati Cragno e Pavoletti, portiere e centravanti titolare, due cardini della rosa, roba da ammazzare qualsiasi squadra italiana che non fosse la Juventus, li ha subito sostituiti con due alternative di livello, Olsen e Simeone, come si comportano solo le grandi squadre. E ora gli investimenti pagano.

Il Cagliari è una squadra divertente per i suoi tifosi (molto meno per gli avversari: ha perso solo contro l’Inter e, fortuitamente, alla prima giornata col Brescia, ed è imbattuto dal primo settembre). È il posto ideale per crescere, o per rinascere, come sta facendo Radja Nainggolan, che a casa è tornato anche ad essere uno dei migliori centrocampisti del campionato. È un progetto coerente, che parte dal campo, ma arriva alla fidelizzazione dei tifosi e finisce al nuovo stadio, che la città attende da anni e che la nuova proprietà sta faticosamente cercando di condurre in porto dopo i disastri del passato. Insomma, il Cagliari è esattamente il modello che un sano club di provincia dovrebbe portare avanti e che così spesso è mancato al calcio italiano. Forse è anche sovradimensionato, destinato fisiologicamente a calare: l’obiettivo di inizio stagione era un piazzamento nel lato sinistro della classifica, la Champions probabilmente è davvero impossibile, ma puntare almeno all’Europa League potrebbe non essere folle, specie se dovesse liberarsi il posto teoricamente riservato al Milan. Sognare, in fondo, non costa nulla. Farlo in Sardegna è ancora più bello.

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