Non ci sono le condizioni giuridiche per il recesso e lo scudo penale non è una condizione che consente di uscire dal contratto firmato da ArcelorMittal con l’amministrazione straordinaria del gruppo Ilva. È questo il cuore del ricorso con urgenza e cautelare, ex articolo 700, che verrà presentato nei prossimi giorni al Tribunale di Milano dai legali dei commissari straordinari dell’acciaieria che fu della famiglia Riva. La procedura, annunciata dal premier Giuseppe Conte in un’intervista al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, verrà formalizzata in settimana e si inserisce in quella “battaglia legale” senza “attendere tempi lunghi” di cui ha parlato il presidente del Consiglio. Nel ricorso, tra l’altro, i commissari parlano anche dell’Afo2, l’altoforno che, al contrario di quanto sostiene la multinazionale nel suo atto di recesso, non è spento.

Ma il ricorso d’urgenza ruota soprattutto attorno all’immunità penale, abolita attraverso il decreto Crescita e il cui reinserimento è stato stralciato dal decreto Salva-Imprese, che continua a tenere banco sotto il profilo politico. A riportarla al centro dei prossimi passi della maggioranza ci ha pensato Italia Viva. Il partito di Matteo Renzi ha presentato due emendamenti al decreto fiscale in commissione Finanze alla Camera che riguardano l’ex Ilva. In particolare, uno prevede una reintroduzione dello scudo per lo stabilimento di Taranto e uno, più generale, per tutte le imprese impegnate in una bonifica ambientale che procede di pari passo con la produzione.

“Soltanto se Mittal venisse a dirci che rispetterà gli impegni previsti dal contratto – cioè produzione nei termini previsti, piena occupazione e acquisto dell’ex Ilva nel 2021 – potremmo valutare una nuova forma di scudo”, ha annunciato il premier Conte nell’intervista a Il Fatto Quotidiano in cui parla di “un nuovo incontro a breve con i titolari” e annuncia una “battaglia legale: un procedimento cautelare per ottenere dal Tribunale di Milano una verifica giudiziaria sulle loro e le nostre ragioni entro 7-10 giorni”.

Intanto fonti sindacali fanno sapere che da giorni l’azienda avrebbe bloccato l’arrivo di materie prime. Una mossa, non confermata da ArcelorMittal, che si inserirebbe nel processo per la restituzione dell’impianto e nella sua “messa in sicurezza”, anticipata dall’ad Lucia Morselli nella lettera inviata ai dipendenti. È possibile che i gestori dello stabilimento vogliano smaltire il materiale presente nei parchi o che lo scarico prosegua in altri porti, dove da luglio i franco-indiani fanno arrivare materie prime da luglio quando il molo 4 di Taranto è stato posto sotto sequestro dopo l’incidente mortale per il crollo di una gru. Non è ancora chiaro il livello di autonomia che serve per alimentare gli altoforni. Quello che è certo è che oggi lo scarico è stato bloccato per via dell’allerta meteo che riguarda fino a domani sera anche Taranto, oltre che altre aree del Meridione.

Anche il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha annunciato che il governo “metterà in campo tutti gli strumenti necessari” e la nazionalizzazione “non è uno strumento da escludere dalla cassetta degli attrezzi”. Secondo Gualtieri si deve fare però attenzione a come si usa: “Chi pensa che lo Stato compri e assorba i costi che impediscono a un soggetto di essere competitivo sul mercato globale alimenta una pericolosa illusione”. Di conseguenza è da evitare “una discussione tra bianco e nero, o si fa la nazionalizzazione di tutte le imprese in crisi, risolvendo magicamente i problemi, oppure lo Stato alza le mani e dice: se ne occupi il mercato”. Secondo il ministro, “non è vera né l’una né l’altra cosa, abbiamo ben presente che ci sono strumenti e li utilizzeremo”.

A una “presenza pubblica” nell’ex Ilva è favorevole anche il segretario della Cigl, Maurizio Landini: “Noi troveremmo utile che dentro a questa società ci sia anche una presenza pubblica: era una delle cose che si stava discutendo da tempo. Il governo decida con quale strumento esserci: se Cassa Depositi e Prestiti o un altro fondo, così come succede nel resto d’Europa e del mondo”. Anche se, precisa Landini, “bisognerebbe ridare un senso alle parole, qui ogni giorno ce ne s’inventa una. Io starei molto con i piedi per terra. Quello che stiamo dicendo è che oggi c’è un accordo che va fatto rispettare”.

Intanto il premier è tornato a confrontarsi con gli enti locali. Conte ha chiamato il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, come rivelato dallo stesso primo cittadino: “Quest’oggi ho avuto nuovamente modo di conversare lungamente al telefono con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, stiamo valutando ogni aspetto non solo della complessa vicenda dell’ex Ilva, ma soprattutto del modello di sviluppo che adesso vogliamo tutti insieme sostenere a Taranto”, ha spiegato.

“Nel mare di difficoltà e preoccupazioni – aggiunge Melucci – i miei concittadini possono quanto meno avere la certezza che lo Stato e gli enti locali sono presenti e non hanno intenzione di lasciare soli lavoratori, famiglie, giovani ed imprese di questa bella terra”. Nonostante tutto, “Taranto – osserva – può davvero aspirare a diventare un metro di paragone positivo per le politiche di cui il Paese deve inevitabilmente dotarsi per affrontare le sfide dei nostri tempi. Attendiamo fiduciosi che gli sforzi del Governo aprano qualche spiraglio”.

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