Non è bastato l’annullamento da parte del Consiglio di Stato di un mega-appalto da 300 milioni di euro per la ristorazione negli ospedali del Veneto. E neppure la pesante censura dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, risalente alla scorsa primavera, nei confronti della Regione Veneto e di Azienda Zero, il suo braccio operativo nella gestione della sanità. Un bando per un valore di 110 milioni di euro, relativo ai pasti da fornire a sei Ulss del Veneto, è stato rifatto, ma senza tener conto delle osservazioni di Anac. E così a Venezia (sede della Regione) e a Padova (sede di Azienda Zero) è arrivata una nuova diffida dell’Anticorruzione: il nuovo appalto è a rischio di illegittimità, per evitare impugnazioni servono chiarimenti e delucidazioni.

Una doccia fredda per Azienda Zero che il 30 ottobre ha ricevuto la lettera firmata dall’ingegnere Umberto Reale dell’Ufficio Vigilanza Centrali di Committenza Concessioni di Servizi del’Anac. La direttrice generale Patrizia Simionato è stata così costretta a rinviare la data di deposito delle offerte per la gara da 110 milioni che era fissata per il 31 ottobre. L’apertura delle buste era prevista per il 6 novembre. Il nuovo termine sarà il 29 novembre. Ma sono i contenuti di quella lettera ad allarmare Azienda Zero, perché ripropongo una critica che era già cruciale nelle sentenze del Consiglio di Stato. In delibera, Simionato si è limitata a scrivere che il documento “merita un accurato approfondimento”, ma ha tenuto top-secret le contestazioni che ilfattoquotidiano.it è invece in grado di rivelare.

Allora erano finite sotto la mannaia le forniture dei pasti agli ospedali veneti perché il bando avrebbe favorito la società vicentina Serenissima Ristorazione, che può cucinare altrove i pasti (tra l’altro su impianti realizzati a Boara Pisani in project financing con soldi pubblici) e poi riscaldarli negli ospedali, dove le cucine sono state smantellate. Serenissima ha come patron l’imprenditore Mario Putin e costituisce un gruppo con 9mila dipendenti che fornisce 50 milioni di pasti all’anno. Un colosso, che però aveva dovuto arrendersi al Consiglio di Stato.

Così a fine luglio, tra polemiche e accuse politiche alla giunta Zaia da parte delle minoranze, si è arrivati al nuovo appalto. La fornitura (base d’asta 110 milioni più Iva) ha la durata di 4 anni ed è suddivisa in sei lotti: Ulss 1 Dolomiti (Belluno), Ulss 2 Marca Trevigiana, Ulss 3 Serenissima (Venezia), Ulss 5 Polesana (Rovigo), Ulss 6 Euganea (Padova), Ulss 7 Pedemontana (Bassano e Alto Vicentino). Azienda Zero, per rispondere alle censure, aveva ridotto la durata da 7 a 4 anni e suddiviso l’appalto in 6 anziché in tre lotti. Ma questo non è bastato all’Anac. Vediamo perché.

Il 18 settembre scorso Anac ha ricevuto un esposto della Società Dussman, firmato dall’avvocato Pierluigi Mantini, in cui chiedeva di verificare se non continuassero a persistere alcuni dei motivi di illegittimità già rilevati da Anac e da tre sentenze del Consiglio di Stato. Il punto cruciale è il “vincolo di aggiudicazione”, previsto dall’articolo 51 del Codice dei contratti, una clausola discrezionale che può impedire l’aggiudicazione di tutto l’appalto ad un unico soggetto che possa disporre del centro di cottura sul territorio per la preparazione di pasti con il sistema “cook and chill” (cuocere e riscaldare).

Secondo Anac, Azienda Zero, pur riducendo la durata dell’appalto e aumentando i lotti, ha mantenuto il sistema di cottura esterno e non ha messo nessun vincolo di aggiudicazione. Insomma, avrebbe apportato modifiche considerate lievi all’originario impianto del bando di gara. Pur sapendo che l’articolo 51 può essere attivato discrezionalmente (e quindi la mancanza del vincolo non genera necessariamente l’illegittimità della procedura), Anac afferma però che i principi di trasparenza e di parità di trattamento vanno salvaguardati nei confronti dei concorrenti. Insomma, il rischio di monopolio si riproporrebbe e Azienda Zero non avrebbe tenuto nel debito conto le censure del Consiglio di Stato.

Anac ha così intimato all’Azienda (e quindi alla Regione) di adottare – entro 60 giorni – le correzioni richieste. Se ciò non dovesse avvenire, si riserva di ricorrere al giudice amministrativo per le “gravi violazioni” indicate dal Regolamento dell’autorità approvato il 13 giugno 2018.

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