VENEZIA – In una Regione dove la Lega è arrivata al 50 per cento dei voti e dove il governatore Luca Zaia comanda indisturbato da quasi dieci anni, ti aspetteresti che il referendum elettorale di Matteo Salvini venisse approvato a mani basse. Una formalità. E invece la maggioranza di centrodestra ha rimediato una figuraccia senza precedenti, almeno a Venezia. Per un voto la proposta referendaria è stata bocciata. Servivano 26 consensi, ne sono arrivati solo 25, a causa di una distrazione collettiva, numerose assenze e dell’incapacità dei capigruppo di chiamare a raccolta i consiglieri regionali nel momento cruciale. E sullo sfondo, anche qualche mal di pancia del centrodestra non leghista.

Infatti, su 42 presenti i votanti sono stati 41 (non si è espresso Antonio Guadagnini di Siamo Veneto), i voti favorevoli 25, quelli contrari 14 e gli astenuti 2. Siccome serviva una maggioranza qualificata (sugli aventi diritto, che sono 51) e non una maggioranza semplice dei votanti, il consiglio regionale ha respinto il referendum che Salvini vuole trasformare in una prova di forza con il governo dopo le dimissioni di questa estate. Perché il segretario della Lega vorrebbe reintrodurre il maggioritario assoluto, facendo decadere la parte proporzionale della legge elettorale.

Tutti si sono affrettati a dire che la volontà non c’entra. Eppure qualche giorno fa il capogruppo leghista Nicola Finco aveva dichiarato: “Dagli alleati pretendiamo massima lealtà e collaborazione. Non solo sulle tematiche locali, ma anche e soprattutto su quella che è la madre di tutte le battaglie: l’autonomia!”. E aveva avvisato Forza Italia e Fratelli d’Italia: “L’alleanza non è scontata”. Insomma, non c’erano le premesse di serenità per portare tutti in aula.

Forse si è trattato di un corto circuito dettato da troppa sicurezza. Ma che lascia il segno. I conti sono presto fatti. Quando si è trattato di votare, una consigliera della lista Zaia Presidente, Sonia Brescacin, era uscita. Un altro consigliere, Nazzareno Gerolimetto, era assente dalla seduta. Con motivazioni diverse non hanno votato tre consiglieri dei Fratelli d’Italia: gli assessori Elena Donazzan, Massimo Giorgetti (stava parlando con l’assessore De Berti) e Sergio Berlato impegnato con un gruppo di parlamentari proprio all’interno di Palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale. Qualcosa non ha poi funzionato nella regia dei capigruppo, Nicola Finco per la Lega Nord e Silvia Rizzotto per la lista Zaia Presidente. Fosse stato presente, il voto del governatore avrebbe fatto pendere l’ago della bilancia verso l’approvazione. Ma anche lui non si è visto. E il consigliere Piero Ruzzante di LeU ha commentato: “Mancava il presidente Zaia, il voto che vi manca è il suo”.

E pensare che il Veneto iper-leghista, qualche settimana fa, aveva fatto da apripista all’approvazione del referendum abrogativo rispetto ad altre sette regioni (Piemonte, Lombardia, Friuli, Sardegna, Abruzzo, Basilicata e Liguria). La validità della proposta referendaria, per legge, richiede almeno cinque consigli regionali. Ma siccome la Cassazione aveva chiesto una riformulazione del quesito, non considerandolo sufficientemente chiaro, ecco che il consiglio regionale ha dovuto riunirsi e votare una seconda volta. Oltre al non-voto di Guadagnini e alle assenze, sono state decisive le astensioni dell’azzurro Marino Zorzato e di Franco Ferrari (Civica per il Veneto). I Cinquestelle Jacopo Berti, Erika Baldin, Manuel Brusco e Simone Scarabel, hanno commentato: “La granitica maggioranza di Zaia non è così granitica e davanti alla propaganda di Salvini non tutti si mettono in riga”. Il presidente del consiglio regionale, Roberto Ciambetti: “Depositeremo in Cassazione l’esito della votazione sulle modifiche ai quesiti referendari”.

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