La protesta inscenata dai genitori di una scuola primaria della provincia di Lodi è di sicuro un segno dei tempi. Decidere di non mandare a scuola i propri figli per le difficoltà arrecate da una bambina disabile ai suoi malcapitati compagni di classe è un’efficace fotografia di dove sta andando – almeno, una parte – la nostra società.

Strane le affermazioni di chi prova a spiegare che la protesta non sarebbe contro ma a favore dell’inclusione della bambina disabile. E’ un po’ come quella atroce e oscena battuta che dice “non è colpa mia, io non sono razzista, sei tu che hai la pelle nera”.

Una bambina disabile è prima di tutto una bambina. Chissà se il parroco del piccolo centro del lodigiano avrà trovato il tempo e il modo per annunciarlo ai suoi fedeli nelle liturgie domenicali.

Una bambina disabile è semplicemente una bambina. Chissà quante volte i genitori di questa rivoluzionaria protesta hanno trovato il tempo di invitarla a casa, di offrirle una fetta di crostata o una spremuta di frutta.

Una bambina disabile è soltanto una bambina. Chissà quanto tempo, ore, giorni interminabili hanno trascorso i suoi genitori alla ricerca di una terapia che non trovano e di una speranza che sembra sempre più affievolirsi col passare degli anni.

Una bambina disabile è solo una bambina. Chissà se le insegnanti e il personale scolastico hanno fatto poco, abbastanza o molto per farla sentire accolta, coinvolta, valorizzata nelle sue condizioni.

Una bambina disabile è una bambina. La sua qualità di vita presente e futura dipende dalla nostra volontà di accoglienza. O si salvano tutti o non si salva nessuno, mi ripeto spesso in queste circostanze. Purtroppo forse in quel paese della provincia lombarda c’è qualcuno che non vuole sentirselo dire.

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