E dunque si è perso in Umbria e “l’esperimento dell’alleanza con il Pd non ha funzionato”, come si sono affrettati a commentare alcuni esponenti del Movimento Cinque Stelle. Non importa che si parli di una regione che veniva da mezzo secolo di governo rosso dove l’alternanza è fisiologica. Non importa che il candidato Vincenzo Bianconi si sia dovuto battere in condizioni oggettivamente impossibili con poco più di un mese per mettere in piedi la sua proposta (mentre il centrodestra ci lavora da anni). Non importa che l’Umbria sia una regione con meno di un milione di abitanti e non sia l’Italia.

A volte emerge in maniera evidente l’origine del Movimento Cinque Stelle, concepito da un attore, nato durante i suoi travolgenti spettacoli. Già, perché in Beppe Grillo, ma soprattutto nei suoi sostenitori (Luigi Di Maio in primis), vedi la tentazione di scambiare l’elettore per spettatore. E il consenso con l’applauso.

L’applauso nasce da un’adesione fulminea, immediata. Si accende in un attimo e dura quanto un battito di mani. Il consenso politico invece matura nel tempo – perfino in Italia dove siamo abituati a cambiare bandiera ogni sei mesi – e richiede una condivisione più profonda e motivata. Ecco allora la tentazione di fondare l’azione politica sulla battuta, sulla frase a effetto. Di lasciarsi guidare dai sondaggi che, come applausi, cambiano ogni settimana.

D’accordo, siamo nell’epoca post-ideologica. Ma non si possono liquidare con la stessa rapidità anche gli ideali, che sono cosa ben diversa. E la politica, se vuole avere senso e non ridursi a semplice ricerca del consenso, deve mettere radici profonde nelle persone. Richiede, appunto, ideali. Perfino, verrebbe da dire, una visione della vita.

Vale nel governo di un Paese, ma anche nell’amministrazione delle regioni. Pensiamo ai servizi sociali, alla sanità, alla cultura, all’economia e ai beni comuni: non si possono ridurre a un contratto, perché le scelte – anche quelle locali – richiedono una visione profonda.

Come si può allora pensare che basti un contratto? Le alleanze elettorali hanno bisogno di tempo per chiarire i propri obiettivi, per dimostrare credibilità. Non è possibile pensare che basti un mese per valutarne la solidità. E non ha senso dire che in Germania, per dire, si fa così. Perché a Berlino il sistema elettorale non è lo stesso che nelle nostre regioni, dove chi vince prende tutto e palla al centro. Lassù le alleanze si possono fare dopo il voto, qui no.

Ci vorrà tempo per capire se l’alleanza Pd-M5S abbia un senso a livello regionale. Saranno necessari altri esperimenti. Magari altre sconfitte. Altrimenti – come ha dimostrato finora la strategia del Movimento – si finirà per regalare tutte le regioni al centrodestra. Con il risultato che l’azione del governo nazionale sarà molto meno efficace e coerente dove l’amministrazione locale sarà di colore opposto. A Roma si tira da una parte; a Trieste, Venezia, Milano, Torino, Genova, Perugia dall’altra.

Abbandonare subito l’alleanza con il Pd dimostra soltanto una cosa: il patto aveva un senso solo elettorale. Per vincere. Senza convinzione profonda. Ma la politica non è uno spettacolo, convincere un cittadino richiede un lavoro molto più lungo che strappare un applauso. E se non ci credi tu, non ci crede neanche chi ti deve votare.

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