“Io voglio studiare e mi dispiace se il mio voto non è adeguato per proseguire con la magistrale. Ma rifarei tutto da capo perché un punto non vale la salute di una persona”. Erika Borellini viene da vicino Carpi, nel Modenese, ha 25 anni e da sei è la caregiver di sua madre, colpita da un aneurisma cerebrale il 20 maggio del 2013. Lo scorso febbraio si è laureata all’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia nella triennale di Ingegneria elettronica, ma la sua votazione, secondo i regolamenti della facoltà, non è sufficiente per l’accesso alla magistrale. Un solo punto la separa dalla possibilità di proseguire gli studi in quella che è la sua passione, con l’obiettivo un giorno di realizzare attrezzature biomediche. “Ho preso 84 su 110 – spiega a Ilfattoquotidiano.it – Ma per la specialistica servono almeno 85 punti. E non esiste nessun esame integrativo, se ci fosse studierei volentieri. Ma è un numero di sbarramento e non ci sono altre possibilità di accesso”.

Un’ingiustizia secondo Erika che, per sbloccare la situazione, dopo aver provato senza risultati a presentare il suo caso al rettore Angelo Oreste Andrisano, ha deciso di lanciare una petizione su Change.org. In poco più di una settimana, l’appello di Erika ha raggiunto oltre 80mila firme, arrivando anche in Parlamento con un’interrogazione presentata dalla senatrice del Movimento 5 stelle, Maria Laura Mantovani.

“In Italia la figura del caregiver familiare (circa 9 milioni di persone, ndr) – dice ancora Erika – non ha le giuste tutele legislative e non è riconosciuta a tutti gli effetti come un lavoro. Ci sono dei procedimenti in corso, ma comunque in nessuno viene posto il problema dei figli che studiano e devono accudire i loro genitori”. È il caso anche dell’ultimo ddl relativo al tema presentato in Senato, il 1461. Negli 11 articoli proposti si parla di riconoscere la figura del caregiver, definito come “la persona che gratuitamente assiste e si prende cura in modo continuativo del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado”, di garantirgli una tutela previdenziale, “fino a un massimo di tre anni di contributi figurativi”, e di fornirgli un supporto in ambito sociale, come quello psicologico o formativo. Ma, appunto, non c’è traccia del caso dei giovani che, sottolinea la 25enne, “spesso hanno anche 16 o 17 anni e assistono genitori o parenti malati di Sla o di bipolarismo“.

Se fosse stata riconosciuta come studentessa-lavoratrice, Erika non sarebbe stata considerata fuori corso e avrebbe avuto diritto ai 2 punti aggiuntivi per la laurea, riuscendo ad accedere alla magistrale. Ma il problema sarebbe rimasto. “Secondo il regolamento dell’Ateneo, con il part-time avrei potuto solo spalmare un anno di studio in due, quindi fare l’università in sei anni invece di tre. Ma avrei potuto dare il 50 per cento degli esami all’anno, con una tabella di marcia da definire nel piano di studi a inizio anno o da integrare con una richiesta al Consiglio – racconta ancora – Ma il lavoro di caregiver non è prevedibile, un giorno mia mamma sta bene il giorno dopo non lo so. Come studentessa-lavoratrice avrei solo rallentato il mio percorso ma con delle tempistiche non flessibili che invece servirebbero agli studenti come me”.

In questi mesi, dalla laurea ad oggi, quando ormai le iscrizioni per il corso di studi magistrale stanno per scadere, Erika ha provato di tutto. “Già prima di laurearmi sapevo che il mio punteggio non sarebbe stato sufficiente, quindi ho scritto al direttore di corso raccontando la mia situazione e allegando i documenti del tribunale e quelli dei medici che attestavano quanto fosse stata importante la mia presenza a fianco di mia mamma. Ho aspettato per mesi una risposta dal Rettore che è arrivata in via ufficiosa solo ad agosto – continua – Mi hanno convocata dicendo, in pratica, che fare un’eccezione avrebbe leso uno dei pilastri dell’università che è l’uguaglianza fra studenti. Poi mi hanno risposto anche in via ufficiale, sempre negativamente, anche a settembre”.

Intanto, però, la 25enne ha scoperto che, se per il corso di studi magistrale il suo voto di laurea è considerato “troppo basso”, al contrario per dare singoli esami non è così. “Per loro io posso tranquillamente dare esami pagandoli singolarmente, anche 200 euro l’uno. E, per ipotesi, laurearmi in moltissimo tempo, visto che con questo sistema ne potrei dare solo tre per anno accademico”, spiega sottolineando il controsenso. “In pratica non vado bene per seguire un intero corso, ma sono sufficientemente preparata per i singoli esami di quel corso. Assurdo, vista anche la mancanza di ingegneri con laurea magistrale in Italia “.

Per non “stare con le mani in mano”, comunque, Erika ha provato a iscriversi alla magistrale di Ingegneria meccatronica, a Reggio Emilia, per la quale basta una votazione di 80 su 110, ma le difficoltà sono molte. “Vengo da un percorso di studi totalmente diverso, quindi per accedere dovrei acquisire altri 40 crediti formativi universitari integrativi in materie meccaniche – dice ancora – In pratica l’equivalente di cinque esami. Avendo ricevuto la risposta solo ad agosto è praticamente impossibile che io riesca a prepararli entro dicembre, quando scadono le iscrizioni. Devo capirli e per me le cose vanno fatte bene o non si fanno per niente”.

L’impegno di Erika con la mamma Lorenza in questi sei anni è stato costante. “Dopo l’aneurisma è stata un anno in neuroriabilitazione a Correggio. Poi è iniziato il lungo travaglio a casa. Era piena di infezioni, con la tracheotomia e il sondino per mangiare”. In sei anni Lorenza ha subito sei interventi. In tutti Erika era al suo fianco. “Lei comunica solo con gli occhi e io le facevo da ‘traduttrice’ per i dottori – spiega – Ero quasi h24 con lei. Studiavo seduta vicino al letto dell’ospedale e da lì andavo direttamente a dare gli esami”. Anche la gestione in casa non è stata semplice. “Abbiamo una signora che ci aiuta, ma trovarne una che andasse bene anche a mia madre è stato difficile”. Una dedizione che però ha dato i suoi frutti in questi anni. “È migliorata molto. È considerata totalmente cosciente, tanto da aver riottenuto il diritto di voto lo scorso anno. E ora mangia per bocca”.

Dal 2013 la routine quotidiana di Erika ha dei ritmi scanditi, diversi da quelli di una normale studentessa. “Mi sveglio alle 6,30 e faccio l’igiene quotidiana a mia madre. Poi vado a lezione e torno per darle da mangiare a pranzo – racconta – Poi riparto per le lezioni al pomeriggio. La sera le faccio un po’ di fisioterapia, per evitare le piaghe. Alle 22,30 dopo averla messa al letto, sono distrutta anche io, quindi vado a dormire e difficilmente riesco a mettermi a studiare”. E poi, ancora, il sabato è dedicato alla preparazione degli “omogeneizzati” da dare alla madre per tutta la settimana, “e di domenica usciamo anche insieme a mio padre. La portiamo al centro commerciale o, quando è caldo, al lago o al mare”.

È per tutte queste ragioni che Erika, spinta anche dagli amici, ha deciso di lanciare la petizione. La studentessa si è rivolta al ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, e alla ministra delle Pari opportunità e della Famiglia, Elena Bonetti, chiedendo che gli studenti caregiver possano godere dello stesso trattamento degli studenti lavoratori. Magari con una flessibilità maggiore. Per il suo caso specifico, invece, ha provato nuovamente a rivolgersi al Magnifico Rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia per chiedergli di “rivedere il regolamento universitario prevedendo la figura del caregiver al suo interno” e di darle “una proroga così da potermi iscrivere al corso di Laurea Magistrale”. “Il rettore ha già risposto dicendo che gli dispiaceva ‘per la studentessa’ – conclude Erika – ma che ‘non vuole dare privilegi’. Beh, vorrei proprio vederli questi miei privilegi”.

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