Donato Mondatore è un uomo tutto sommato fortunato. I 16,1 chili di marijuana con i quali era stato beccato nel luglio 2018 erano di qualità medio-bassa. Quindi, per quanto avrebbe potuto suddividerli in 67.957 dosi singole da smerciare, non costituiscono “ingente quantitativo”. Il pubblico ministero Raffaele Casto della Procura di Brindisi ha provato a contestargli l’aggravante che, oltre a comportare la detenzione in carcere senza prevedere sconti o strade alternative, avrebbe voluto dire anche un aumento delle pene dalla metà a due terzi. Ma il giudice Vittorio Testi, lo scorso 24 settembre, l’ha esclusa perché il valore del Thc, il principio attivo che provoca l’effetto drogante, era al di sotto del quantitativo che ormai la giurisprudenza considera necessario per aggravare il reato. Dentro quei 16 chili c’erano un chilo e 698 grammi di Thc, pari al 10,41% del totale del peso della sostanza sequestrata. Troppo poco.

Alle 10.40 del 25 luglio 2018 il 29enne Mondatore – difeso dagli avvocati Tommaso Marrazza e Francesco Monopoli – era stato pizzicato durante un controllo della Polizia stradale mentre tra Bari e Brindisi era alla guida di un autocarro Renault Master: tra le balle di fieno aveva nascosto 42 involucri di cellophane che contenevano la sostanza stupefacente. Dopo l’emissione del decreto di giudizio immediato, i suoi legali avevano avanzato la proposta di patteggiamento o di rito abbreviato, con il quale è stato poi giudicato dopo che il pm Casto gli ha contestato anche l’aggravante dell’ingente quantitativo.

Durante le indagini, aveva spiegato di aver trovato la marijuana sul litorale e di averla prelevata, sostenendo di aver fatto un “errore” perché – si è difeso – “non sarebbe stato in grado di cederla a nessuno”. Il giudice non ha creduto alla sua versione e lo ha condannato a 2 anni e 4 mesi, più 10mila euro di multa. Nessuna attenuante generica, perché Mondatore non è stato collaborativo. Ma ha accolto la richiesta dei suoi avvocati di escludere l’aggravante dell’ingente quantitativo, che avrebbe potuto far lievitare la pena fino a 6 anni di reclusione oltre a essere ricompresa tra i “reati ostativi” impedendo quindi di ottenere benefici alternativi alla detenzione in carcere.

I difensori di Mondatore hanno richiamato una sentenza della Cassazione del 2016 nella quale i Supremi giudici hanno ricordato come nella configurazione dell’aggravante vada tenuto in conto il cosiddetto “dato ponderale”. Sostanzialmente, nel valutare un “ingente quantitativo” il giudice deve tenere in conto i dati tabellari del ministero della Salute sulle quantità di principio attivo per le quali è permessa la detenzione di marijuana (500 mg) e moltiplicarli per 4000. Insomma, servono 2 chili di Thc perché si possa parlare di ingente quantitativo, a prescindere dal peso complessivo della marijuana.

Negli oltre 16 chili in possesso di Mondatore ce n’erano circa 300 grammi in meno. Quindi nonostante in teoria la sua sostanza stupefacente avesse potuto essere smerciata in quasi 70mila dosi singole, per il tribunale non è un ingente quantitativo. La questione su quanto sia necessario perché si possa configurare l’aggravante è assai discussa, perché i valori tabellari sono cambiati dopo la reintroduzione delle “droghe leggere”, successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite nel 2012. Tant’è che lo scorso 10 settembre la Cassazione ha investito di nuovo le Sezioni Unite per dirimere il contrasto giurisprudenziale.

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