Il dibattito sul futuro di San Siro, inteso come tempio internazionale del calcio, come casa delle due squadre cittadine, l’Inter e il Milan, impazza ormai da mesi. In realtà lo stadio è dedicato a Giuseppe Meazza, ma tutti amiamo chiamarlo con il vecchio nome.

L’ingresso in scena della Sovrintendenza rammenta a tutti il valore architettonico del secondo anello con la sua struttura elicoidale, magnifica e moderna, e riapre i giochi che sembravano al capolinea. Incassato il colpo, le società di calcio non getteranno la spugna e useranno l’ipotesi di traslocare il nuovo impianto a Sesto San Giovanni come una minaccia, che la Giunta capeggiata da Beppe Sala deve rispedire nella metà campo avversa, per usare una metafora calcistica.

I due nuovi progetti, presentati da Inter e Milan, sono un limpido esempio di quella che noi definiamo “edilizia inutile e dannosa”: e mi piace sottolineare l’aggettivo, perché provocatorio rispetto all’idea comunemente accettata che noi Verdi siamo sempre e comunque contrari a tutto. Non è vero. Siamo favorevoli a riempire in qualche modo gli 80mila vani sfitti in città, ad esempio, anziché continuare a consumare suolo. Siamo invece contrari all’idea di costruire un nuovo stadio e di abbattere quello vecchio perché viviamo in epoca di emergenza climatica che mal sopporta progetti speculativi. Nuovo e vecchio sono il tranello in cui cascano in molti: in questo caso che il rischio vero, urbanistico e ambientale, è legato a opere che ruotano intorno allo stadio, senza il quale non avrebbero alcun diritto di cittadinanza.

Dobbiamo cambiare il passo, il ritmo e la marcia. Sullo stadio, come su ogni nuova struttura in mente Dei, si dovrebbe d’ora in poi ragionare solo in termini di emissioni a breve termine, se vogliamo salvare il pianeta. Si parla di 21mila viaggi di Tir solo per smaltire i rifiuti della demolizione del vecchio San Siro. Una quantità inimmaginabile di emissioni di CO2, che ci vorranno decenni a compensare, per costruire uno stadio più efficiente e a basso consumo. Un controsenso, una capriola, un salto mortale. Perché noi le emissioni dobbiamo ridurle subito, prima che sia troppo tardi, come dobbiamo batterci subito, adesso, in questi giorni, in queste ore, contro il consumo di suolo, dissennato e talvolta forsennato, in un paese che avrebbe bisogno di una task force per monitorare e riparare i guasti della speculazione edilizia e dell’idea che l’unico investimento che conviene sia, da sempre e per sempre, quello sul mattone.

Milan e Inter vogliono fare più soldi, e questo è legittimo. Il benchmark è la Juventus che a Torino ha costruito uno stadio di sua proprietà, pagando il terreno a prezzi di saldo, e poi un museo, un hotel e via dicendo con lo scopo di offrire a chi va in città un’esperienza totale, come amano dire i manager contemporanei, che li arricchirà nello spirito e li alleggerirà nel portafoglio. Vogliono fare più soldi, le squadre di calcio milanesi, ma la politica deve avere un’altra idea di ciò che è utile e di ciò che non lo è, deve mettere in campo una visione di città che non sia solo rincorrere il profitto. Le tocca. La politica deve assumere come prioritario il concetto di bene comune. Anche a discapito del profitto.

Ma c’è anche un’altra questione, sottile eppure fondamentale, un argine all’ubriacatura collettiva della mia città, un monito all’innamoramento perduto, e perdente, per la contemporaneità. Da milanese che tiene in gran conto le proprie radici, affascinata da una città che sfida i cliché e le maldicenze, vorrei ricordare a tutti un’ovvietà, e cioè che la contemporaneità passa, passa e si affloscia, e poi si estingue nella memoria collettiva. Ciò che rende le nostre città così straordinarie, Milano compresa, è il sovrapporsi delle età, un libro ancora aperto e da scrivere che tiene insieme passato e presente, senza che l’uno prevalga sull’altro.

Milano non è solo lo sfavillio dei centri commerciali e delle nuove vette, ma un puzzle di segni e umori che attraversano la sua storia. La città più europea, più internazionale d’Italia, la città che sta nel mezzo, Mediolanum, che non è solo la compagnia assicurativa dell’amico di Berlusconi, non deve dimenticare se stessa, non deve annullare la sua vocazione all’accoglienza e arrendersi all’inevitabile, ai posti letti per studenti a 600 euro al mese, all’idea che si possa costruire uno stadio nuovo soltanto per fare più soldi, come se questa fosse l’unica ragione e non il suo contrario: Milano è anche edilizia popolare, cohousing, ribellione al caro affitti, difesa del verde e del pubblico, pragmatismo e spinte ideali, è la città del possibile, come categoria dell’umano e del religioso, ricordate Miracolo a Milano?: è la città che rinasce su stessa, sempre diversa e sempre uguale.

Sì, se c’è qualcosa di cui ho nostalgia, ebbene sì, è del presente.

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