“Ascoltate la Scienza!”, ha gridato alle Nazioni Unite la giovane attivista svedese Greta Thunberg, accompagnata nelle piazze dall’urlo di centinaia di migliaia di giovani che in tutto il mondo, venerdì 27 settembre, hanno scioperato contro i cambiamenti climatici e per la difesa della Terra. Ma cosa dice la scienza sul clima che muta? C’è un grafico, in particolare, che i climatologi considerano “il più avanzato risultato che la scienza abbia prodotto per fotografare la variazione delle temperature medie superficiali del Pianeta negli ultimi 11.000 anni”, ha sottolineato a Ilfattoquotidiano.it Renato Colucci, glaciologo del gruppo di ricerca su clima e paleoclima dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) di Trieste.

Il grafico è parte di uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science nel 2013 da un gruppo di climatologi di Harvard e della Oregon State University, coordinato da Shaun Marcott. Mostra una curva a forma di arco, con un picco rosso nella parte più a destra. “Sebbene sia del 2013 – sottolinea Colucci -, è ancora il più attuale che abbiamo. È un grafico in scala, ed evidenzia in modo emblematico l’impennata delle temperature medie superficiali della Terra negli ultimi 150 anni. L’aspetto che impressiona di più – aggiunge l’esperto del Cnr – è proprio il picco finale. Nell’arco di migliaia di anni, infatti, la Terra è andata incontro a cambiamenti graduali delle temperature globali, pari a pochi decimi di grado. Negli ultimi 100-150 anni, invece, in appena un secolo la temperatura media globale superficiale è schizzata su di circa 1 grado, e la gran parte di questo riscaldamento – chiarisce Colucci – si è verificata negli ultimi 30 anni”.

Gli esperti sono riusciti a ricostruire le temperature della Terra degli ultimi 12.000 anni, cioè all’incirca da quando i nostri antenati hanno imparato a coltivare la terra, grazie all’aiuto della geologia. Esaminando, ad esempio, i pollini antichi, il decadimento radioattivo degli isotopi nei sedimenti dei fondali marini, o la concentrazione dei gas serra all’interno delle carote di ghiaccio. Cilindri che, come gli anelli di accrescimento degli alberi, conservano un’impronta delle variazioni annuali dei gas contenuti nell’atmosfera terrestre, a partire dall’anidride carbonica, la famigerata CO2, finita sul banco degli imputati come principale responsabile della febbre del Pianeta. Man mano che gli scienziati scendono in profondità negli strati di ghiaccio, quindi, è come se portassero indietro nel tempo le lancette della Terra. “Nella storia paleoclimatica del nostro Pianeta c’è la chiave del clima futuro”, ha spiegato Colucci.

Le carote di ghiaccio antartiche mostrano, ad esempio, che nell’ultimo secolo l’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è stato 100 volte più veloce rispetto agli ultimi 800.000 anni, limite fino al quale riescono finora a spingersi indietro nel tempo le nostre analisi delle carote di ghiaccio. E l’aumento di CO2 è strettamente collegato a quello delle temperature”, ha aggiunto l’esperto. Uno studio internazionale, denominato Beyond EPICA, partito a giugno del 2019 e che vede la partecipazione di molti ricercatori italiani, punta adesso a studiare carote di ghiaccio ancora più profonde, “che ci permetteranno – ha spiegato Colucci – di fare un balzo indietro forse fino a 1,6 milioni di anni fa”.

Gli esperti del Comitato dell’Onu sui mutamenti climatici, l’Ippc, e dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ci spiegano che la temperatura della Terra è cambiata molto, e talvolta in modo drastico, in tempi lunghissimi. “In 500 milioni di anni ci sono state variazioni di circa 20 gradi”, sottolinea Colucci. “Ma non è mai accaduto dall’inizio del Pliocene, circa 5,3 milioni di anni fa, di vedere valori di CO2 così alti come negli ultimi 150 anni. E nel Pliocene la concentrazione di questo gas serra nell’atmosfera – ha aggiunto il glaciologo del Cnr – era di circa 500 parti per milione (ppm)”.

Oggi, secondo gli esperti della Società geologica italiana, siamo “a poco più di 410 parti per milione, con un aumento del 46% rispetto al valore pre-industriale di 280 ppm”. Secondo le previsioni dell’Ipcc, entro la fine del secolo potremmo raggiungere le concentrazioni dell’inizio del Pliocene. Quando la Terra, conclude Colucci, “era un pianeta interamente tropicale, con i mari più alti di circa 20 metri, la temperatura di 3-4 °C superiore ai livelli pre-industriali, quindi 4-5 °C rispetto al presente, l’Africa che iniziava a desertificarsi, e il Nord Italia in cui la Pianura padana era ancora un mare, mentre la terraferma era popolata da ippopotami e leoni”.

Abstract studio Science

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