La maggioranza parlamentare ha raggiunto l’intesa su una norma per regolare il cosiddetto ‘end of waste’ e consentire il riutilizzo dei rifiuti che si era arenato per effetto del decreto Sblocca cantieri. Le Regioni, seguendo criteri ben precisi la cui applicazione verrà verificata in diversi step, potranno rilasciare o rinnovare autorizzazioni alla “cessazione della qualifica di rifiuto”, passaggio necessario perché torni ad essere un prodotto o materiale da rimettere in commercio. L’accordo è stato tradotto in un emendamento firmato dalla presidente della Commissione ambiente al Senato, Vilma Moronese (M5s), inserito nel decreto sulle crisi aziendali. Cuore della modifica è il comma 2 dell’articolo 13 bis, nel quale si spiega che “in mancanza di criteri specifici” le autorizzazioni per lo svolgimento di operazioni di recupero “sono rilasciate o rinnovate” nel rispetto di quanto stabilito nell’articolo 6 della Direttiva 98/2008/CE, ossia la Direttiva Quadro sui rifiuti, ma anche di criteri dettagliati, definiti nell’ambito degli stessi procedimenti autorizzativi.

I COMMENTI – “Dopo averci provato molte volte, finalmente abbiamo trovato l’accordo che sblocca l’end of waste, cioè il riciclo dei rifiuti differenziati” ha commentato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, secondo cui l’emendamento “darà finalmente impulso all’economia circolare in Italia”. Soddisfatta anche la firmataria del testo, Vilma Moronese. “Grazie al grande lavoro dei gruppi di maggioranza di Camera e Senato, dei legislativi e del ministero dell’Ambiente, abbiamo predisposto una norma equilibrata”, ha spiegato a ilfattoquotidiano.it, sottolineando la scelta, condivisa con Costa, di inserire la modifica non nel dl clima ma, per velocizzare i tempi, nel decreto sulle crisi “già in discussione in Commissione e già in calendario per la prossima settimana”.

SUPERATO LO SBLOCCA CANTIERI – Superata, dunque, la misura contenuta nella legge 55 del 14 giugno 2019 (Sblocca Cantieri) che faceva riferimento al vecchio decreto ministeriale del 5 febbraio 1998 per definire “tipologia, provenienza e caratteristiche dei rifiuti, attività di recupero e caratteristiche di quanto ottenuto da tale attività”. Un testo mai aggiornato né con l’inserimento di nuovi rifiuti, né tecniche all’avanguardia su cui oggi l’Italia può invece contare e che quindi rischiava di penalizzare gli impianti più virtuosi. Una misura, quella contenuta nello Sblocca Cantieri, molto criticata dalle imprese del settore e arrivata sedici mesi dopo una sentenza altrettanto discussa del Consiglio di Stato datata 28 febbraio 2018. Prima di allora, in assenza di criteri (negli ultimi sei anni erano stati pubblicati solo due decreti, per il conglomerato bituminoso e per i pannolini), erano state le Regioni a decidere di volta in volta. Il Consiglio di Stato aveva poi bloccato rinnovi e nuove autorizzazioni per il riciclo di rifiuti non normato da regolamenti europei o da decreti nazionali, ritenendo che non fosse compito delle Regioni riconoscere caso per caso la cessazione della qualifica di rifiuto. Lo Sblocca Cantieri aveva anche peggiorato la situazione.

LE AUTORIZZAZIONI GIÀ IN ESSERE – Per evitare il blocco degli impianti di End of waste e situazioni di criticità nel ciclo di gestione dei rifiuti, in mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del Testo unico ambientale, le autorizzazioni già ottenute alla data di entrata in vigore del dl SalvaImprese o per le quali è in corso un procedimento di rinnovo o che risultano scadute (ma per le quali verrà presentata un’istanza di rinnovo entro 120 giorni dall’entrata in vigore della disposizione) sono fatte salve e sono rinnovate nel rispetto delle disposizioni del Testo unico.

IL TESTO – Per quanto riguarda le nuove istanze, nell’emendamento si specifica che tra i criteri definiti nell’ambito delle autorizzazioni ci sono quelli che riguardano “materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell’operazione di recupero, processi e tecniche di trattamento consentiti, criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall’operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario, requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l’automonitoraggio e l’accreditamento, se del caso e un requisito relativo alla dichiarazione di conformità”. In mancanza di criteri specifici, restano invariate le procedure semplificate per il recupero dei rifiuti. “Abbiamo cercato di arrivare a un testo quanto più agevole possibile – spiega a ilfattoquotidiano.it Vilma Moronese – inserendo criteri specifici a quelli già indicati nella direttiva quadro. L’obiettivo è stato quello di andare incontro alle aziende che operano nel settore dell’economia circolare ma, allo stesso tempo, di tutelare l’ambiente e la salute delle persone, tant’è vero che ampio spazio si dà alle procedure di verifica che riguardano le autorizzazioni”. Torna, dunque, alle Regioni il compito di rilasciarle? “Sì, ma con criteri che siano uguali dal Nord a Sud, in modo che non ci siano differenze di trattamento per le imprese, a seconda della regione”.

LE VERIFICHE – Le autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni dovranno comunicare all’Ispra i nuovi provvedimenti adottati, riesaminati o rinnovati entro dieci giorni dalla notifica al soggetto che ha presentato istanza e l’Ispra o l’Arpa (su delega), una volta ricevuta la comunicazione, dovrà verificare con modalità a campione, ma in ogni caso in contraddittorio con l’interessato, la conformità delle modalità operative e gestionali degli impianti, compresi i rifiuti in ingresso, i processi di recupero, le sostanze o oggetti in uscita, agli atti autorizzatori rilasciati redigendo, in caso di non conformità, una relazione. Il procedimento di controllo si concluderà entro 60 giorni dall’inizio. Ne sarà data comunicazione al Ministero dell’Ambiente che, entro altri 60 giorni, dovrà adottare proprie conclusioni, motivando l’eventuale mancato recepimento degli esiti dell’istruttoria contenuti nella relazione. Le conclusioni verranno poi trasmesse all’Autorità competente, perché venga avviato un procedimento affinché il soggetto interessato si adegui alle conclusioni del Ministero. In caso contrario, l’autorizzazione sarà revocata. Decorsi 180 giorni dalla comunicazione all’Autorità competente il ministro dell’Ambiente può provvedere, in caso di mancata attivazione e/o completamento del procedimento, in via sostitutiva e previa diffida, anche mediante un Commissario ad acta, all’adozione dei provvedimenti.

DAL REGISTRO AL GRUPPO DI LAVORO – Con cadenza annuale, l’Ispra redigerà una relazione sulle verifiche e i controlli effettuati nel corso dell’anno e le comunicherà al ministero dell’Ambiente entro il 31 dicembre. Verrà, inoltre, istituito presso il ministero il registro nazionale deputato alla raccolta delle autorizzazioni rilasciate e delle procedure semplificate concluse e un gruppo di lavoro per assicurare lo svolgimento delle attività istruttorie, composto da cinque unità, di cui almeno due con competenze giuridiche e le restanti con competenze di natura tecnico-scientifica da collocare presso l’Ufficio legislativo.

LE RISORSE FINANZIARIE – Nelle relazione tecnica si specifica, inoltre, che “dalla proposta normativa non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Gli oneri per il gruppo di lavoro presso il Ministero (200mila euro all’anno dal 2020 al 2024), saranno coperti dalla “riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell’ambito del programma ‘fondi di riserva e speciali’ della missione ‘fondi da ripartire’ dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2019”, utilizzando parzialmente l’accantonamento relativo al ministero dell’Ambiente.

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