Attività di bonifica dei computer, installazione di telecamere finalizzate ad impedire l’attivazione delle intercettazioni da parte degli inquirenti e nell’utilizzo di disturbatori di frequenza per ostacolare quelle già in corso. Sono le accuse gravissime che il gip del tribunale di Genova, Angela Maria Nutini, avanza nei confronti di Spea e Autostrade nell’ordinanza di custodia cautelare con la quale tre tecnici di Aspi sono finiti ai domiciliari nell’inchiesta bis sul crollo del ponte Morandi e altri sei tecnici della stessa società e di Spea, controllata di Autostrade, sono state interdette dai pubblici uffici per un anno.

Solo un paio di settimane fa la procura di Genova aveva inviato un nuovo dossier al ministero dei Trasporti sulle strutture ammalorate: tra cui i viadotti Paolillo (A16) e Pecetti (A26) oggetto dell’ordinanza di custodia cautelare. Riguardo a questa inchiesta il giudice parla di uno “studiato e meditato ostacolo” delle indagini. Eppure ancora qualche mese fa, era il 19 aprile scorso, l’ad di Atlantia Giovanni Castellucci, parlando delle indagini sul ponte Morandi diceva: “La ricerca della verità, che ci vedrà sempre a fianco della magistratura, sarà probabilmente purtroppo lunga e complessa”.

C’era invece uno “zelo”, lo chiama il giudice per le indagini preliminari, che andava ben oltre il “supporto” ai dipendenti indagati, “istruiti” prima degli interrogatori da parte della Guardia di finanza e in un caso convocati in un hotel romano per una sorta di “discorso motivazionale” dopo aver ricevuto le convocazioni da parte degli investigatori. A novembre dello scorso anno, si legge nell’ordinanza, l’ufficio legale di Spea aveva contattato “appositamente” una società che si occupa dell’installazione di questi dispositivi. “Emblematica” viene definita una telefonata tra una legale e i vertici della società “per chiedergli se vi sia il modo di rintracciare il ‘disturbatore’ che non riesce più a trovare”.

La conversazione è riportata nelle carte: “L’altro giorno abbiamo usato il disturbatore e non si trova più… io l’ho dimenticato nella sala riunioni e non so che fine possa aver fatto…”, dice la responsabile dell’ufficio legale di Spea, Valentina Maresca. “Tu hai qualche modo per recuperare, tipo geolocalizzazione o qualcosa oppure… tra l’altro l’avevo tenuto in carica, cioè nel senso non teneva più la carica…”. Ma non solo. Il gip Angela Maria Nutini sottolinea: “Si evince che i dipendenti chiamanti a rendere testimonianza debbano poi mettere al corrente la società delle domande rivolte dagli inquirenti e delle risposte fornite”. Proprio Maresca si lamenta del fatto che non si riesca ad architettare “un po’ di strategia” e che questa storia le stia sfuggendo di mano. Ricevendo da Massimiliano Giacobbi (Spea) questa risposta: “Eh, Vale, lo so, Vale che te devo di? Altro che lobotomici, è che non sanno reggere un minimo di tensione…”.

Accanto “all’opera aziendale” di preparazione dei dipendenti e dunque di “studiato e meditato ostacolo alle indagini”, vi è poi il “fai-da-te dei singoli dipendenti”. Diversi gli episodi riportati. Il 5 febbraio Andrea Indovino, raggiunto oggi da una misura interdittiva di 12 mesi, “mentre è al telefono con Ferretti, cancella i file relativi ai trasporti eccezionali”. Ferretti, che è suo superiore, “gli fa osservare- scrive il gip – che quest’opera maldestra non gli gioverà molto”. Testuali parole: “Tanto ti beccheranno che gli hai cancellati”. In un altro caso, il 3 gennaio 2019, la Guardia di finanza richiede all’ufficio legale di Spea copia di una relazione redatta dall’ingegnere Morandi sul ponte crollato il 14 agosto dello scorso anno provocando 43 morti. Il giorno dopo la relazione viene ritrovata, ma Lucio Ferretti Torricelli, ora ai domiciliari, “dice che risponderanno che la stanno cercando”.

E qualche giorno dopo ai finanzieri “viene comunicato il mancato reperimento del documento”. Peccato che, come si legge nelle carte, venga rinvenuto il 24 gennaio sulla scrivania proprio di Ferretti. È la stessa “filosofia” che, secondo la ricostruzione del gip, viene adottata da Gianni Marrone, anche lui ai domiciliari, quando decide “deliberatamente” di “non consegnare” all’ispettore del ministero dei Trasporti e alla Polizia Giudiziaria documentazione relativa al viadotto Paolillo. In un’intercettazione telefonica sarà proprio Marrone a spiegare la ratio della sua scelta: “Noi non gliel’abbiamo data ieri, perché, sai, tu non puoi scoprire tutte dargli tutto…”.

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