Si chiama #LetKashmirSpeak ed è la campagna lanciata da Amnesty International India per cercare di ridare voce agli oltre otto milioni di abitanti sottoposti a un blackout delle comunicazioni da oltre un mese. Tanto è passato da quando il governo nazionalista comandato da Narendra Modi ha annunciato la cancellazione dell’articolo 370 della Costituzione indiana che concedeva al Kashmir uno statuto speciale e un’ampia forma di autonomia. Amith Sah, il ministro degli Interni e regista dell’operazione, continua ad assicurare un ritorno alla tranquillità e preannuncia la prossima fine delle restrizioni. Il ministro degli Esteri S. Jaishankar sottolinea come l’interruzione delle telecomunicazioni sia stata necessaria per motivi di sicurezza.

Le condizioni nell’area però rimangono preoccupanti: arresti di massa, rastrellamenti notturni di bambini e giovani, scuole deserte – i genitori non si fidano a far uscire di casa i figli – i negozi aperti solo poche ore di mattina e medicinali e merci che si stanno esaurendo.

I principali leader politici sono stati arrestati e la stampa è sotto attacco. Ci sono voluti trenta giorni perché la Corte suprema indiana concedesse alla figlia di Mehooba Mufti, ex governatrice del Kashmir, di far visita alla madre, arrestata a Srinagar il 5 agosto. Il giornalista e scrittore Gowhar Geelani è stato arbitrariamente bloccato all’aeroporto di Nuova Delhi mentre stava per prendere un aereo diretto in Germania, e tre noti giornalisti sono stati costretti a lasciare i loro alloggi governativi.

La popolazione è isolata, le famiglie non possono comunicare fra loro. “Privare un’intera popolazione del suo diritto alla libertà di espressione, di opinione e di movimento per un periodo di tempo indeterminato è come riportare indietro la regione di secoli. Da un mese a questa parte il governo indiano continua a dire che va tutto bene, ma non abbiamo sentito nessuna voce di conferma dal Kashmir. Questo è il segnale che non va tutto bene”, sostiene Aakar Patel, direttore di Amnesty International India.

Secondo l’ong, il blackout delle comunicazioni in corso non rispetta i limiti stabiliti dall’articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui l’India è stato parte: gli abitanti sono esclusi dal libero accesso alle informazioni e stanno subendo una privazione delle libertà d’opinione e d’espressione.

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