Parla di politica e “scende in campo senza scendere in campo”. Di certo, il giudizio sul governo gialloverde è netto: “Grillini e leghisti hanno fallito, mi pare evidente. Dove pensavano di andare? Non sono neppure deluso perché solo chi coltiva aspettative può esprimere delusione: io non ne avevo”. Urbano Cairo, presidente della Cairo Communication, di Rcs e del nonché proprietario di La7 e del Torino, in un’intervista al Foglio sotto il titolo “Il manifesto politico di Cairo” spiega che “al momento l’idea di scendere in politica non mi sfiora” e di non essere “l’erede di Berlusconi“, specie perché non aspetta “nessuna investitura“. Ma è convinto che sia “il momento di raccontare la verità alla gente. Il momento è complicato, serve una svolta, un po’ di coraggio: dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo”. Una svolta lontana da quanto fatto dall’ultimo governo, visto che la sua valutazione sull’esecutivo dimissionario e dei suoi leader è tranchant. “Matteo Salvini è perfetto per le campagne elettorali, ha portato il suo partito dal 4 al 34 per cento delle elezioni europee, anche se un recente sondaggio segnala un repentino calo al 31, mi pare. Lui sa agitare le piazze, fomenta le folle da politico esperto qual è, ma governare è tutta un’altra storia. Facendo la voce grossa in Europa, che cos’ha ottenuto? Questo mostrare i muscoli così smaccato ha forse dato qualche frutto? È servito soltanto alla Lega che ha raddoppiato i consensi nel giro di un anno”. Sull’altro fronte dell’ex alleanza di governo, invece, Di Maio “ha promosso in ruoli istituzionali gente senza esperienza, che non ha mai studiato, che non ha mai fatto la gavetta. La giovane età va bene, ma da sola non basta. Non sempre essere giovani è la soluzione: la competenza è fondamentale, soprattutto di fronte ai problemi complessi in una società complessa. Perciò un leader onesto non può promettere l’Eldorado: se non lo realizzi la gente si stufa e l’escursione del consenso è fulminea”.

Cairo bolla il contratto di governo come “totalmente irrealistico” perché “Salvini e Di Maio avevano agende inconciliabili. Come fai a tenere insieme flat tax, quota 100 e reddito di cittadinanza? Come si possono giustapporre politiche monetariste e keynesiane? Non si può promettere tutto e il contrario di tutto. Se annunci cose mirabolanti, la gente ti vota perché ha bisogno di una speranza, dal 2008 a oggi la condizione della classe media è obiettivamente peggiorata. Se però poi non sei in grado di trasformare le promesse in realtà, i cittadini ti voltano le spalle, e fanno bene”. Per Cairo col connubio gialloverde “ci hanno fatto perdere quindici mesi nel frattempo l’economia è entrata in stagnazione, e pure in politica estera non abbiamo fatto un figurone. Era davvero necessario sprecare questo lasso di tempo per prendere atto che il matrimonio non funzionava? Io, nelle mie aziende, determino il corso degli eventi nei primi cento giorni”. Critico anche verso il reddito di cittadinanza, provvedimento cardine dei 5 Stelle. Per lui è “un incentivo a non fare, o a fare del sommerso. Oggi serve l’esatto opposto: le persone vanno spronate a mettersi in gioco e a richisare, anche se non possono scegliere l’impiego dei loro sogni”. Quindi, in tempi di lavoro che manca, “meglio un contratto a tempo che nessun contratto”. Per lui la priorità sono gli investimenti, le agevolazioni fiscali per le imprese e un accesso al credito più facilitato. Poi una “seria riforma fiscale che allenti il peso sulle famiglie del ceto medio e una riforma della giustizia, specie civile, perché “l’incertezza dei tempi per fare valere un contratto disincentiva gli investitori“.

Quando a una sua ipotetica discesa in campo, Il Foglio insiste. Gli ricorda che ha spulciato il bilancio dello Stato (“mi piace andare in fondo alle cose”, spiega lui), che periodicamente fa misurare il suo indice di popolarità tramite l’istituto di sondaggi Swg (“devo rispondere a numerosi stakeholder”), che ha incontrato Mattarella alla Fondazione Guido Carli. Cairo stesso spiega che riceve “numerose sollecitazioni” per la sua discesa in campo, ma che “al momento l’idea non mi sfiora”. E assicura: “Io non sono e non sarò mai l’erede del Cavaliere. Io sono molto diverso da lui. Per essere ancora più chiaro: non vivo nell’attesa di ricevere una qualche investitura né intendo assumere la guida di partiti già esistenti che hanno attraversato una parabola puntellata di successi e fallimenti. Nella vita non si prende il posto di qualcun altr. Se si vuole compiere il grande passo, si dà vita a una creatura inedita, la s’inventa di sana pianta. Gli innovatori inventano il nuovo, non riciclano il vecchio”. Cairo definito da qualcuno “berluschino” e “cavalierin”? “Le trovo espressioni spregiative. Io – sottolinea – sono orgoglioso di aver lavorato per il Dottore, all’epoca avevo trent’anni, oggi ne ho più del doppio. Lui è sempre stato bravo nello sviluppare i ricavi delle aziende ma non si è mai occupato delle singole voci del conto economico, delegando questa attività ad altri. Io non delego”.

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