Mentre il ddl sul salario minimo firmato dal Movimento 5 stelle resta arenato in commissione Lavoro al Senato, dalle audizioni conoscitive emerge il sostegno di Fiat Chrysler all’ipotesi di introdurre in Italia una misura già adottata da molti Paesi europei. A confermare il giudizio positivo – già espresso più volte negli ultimi anni – è stato come riferisce Il Sole 24 Ore Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali di Fca. “Proprio l’Italia, purtroppo afflitta da ampie fasce di lavoro nero (e grigio) e da un tessuto economico caratterizzato dal predominare della piccola e piccolissima impresa più di altri paesi avrebbe bisogno di una diretta definizione legislativa del salario minimo, magari assistita da una tutela non solo amministrativa ma anche penale”, recita il testo dell’audizione. “A nostro parere, un salario minimo per tutti i lavoratori, sicuramente necessario nel contesto italiano, non può che essere definito esclusivamente dalla legge, come l’esperienza internazionale insegna. Tale salario minimo rappresenterebbe inoltre la migliore e più solida tutela contro il fenomeno dei cosiddetti contratti pirata”.

Al contrario l’attribuzione per via legale dell’efficacia erga omnes ai contratti nazionali di settore, prevista da diverse proposte di legge e caldeggiata dai sindacati, per Fca “non supera i problemi odierni e ne pone altri”, a partire dalla selezione dei contratti di riferimento tra le centinaia di contratti collettivi nazionali esistenti, a cui affidare la tutela dei livelli retributivi minimi perché hanno una maggiore rappresentatività comparativa rispetto ad altri. Posizione inevitabile dato che il gruppo automobilistico, dopo l’uscita da Confindustria nel 2011, non applica il contratto collettivo di Federmeccanica bensì un suo contratto aziendale non firmato dalla Fiom.

De Biasi sottolinea che del resto “una certificazione a livello nazionale della rappresentanza sindacale (e datoriale) non esiste (o ha funzioni meramente sussidiarie) in alcuno dei principali Paesi più sviluppati (in taluni, come la Germania, essa è addirittura vietata). Ancora, essa ricorre solo nei sistemi con richiami corporativi dove i sindacati hanno una precisa funzione e struttura di natura pubblicistica, come in alcuni Paesi scandinavi. Se si volesse però seguire questa linea il sistema normativo italiano prevede una via, ed una soltanto, cioè l’applicazione integrale dell’articolo 39 della Costituzione, che, come è noto descrive e prescrive una unica procedura per raggiungere questo risultato. In ogni caso la misurazione della rappresentatività, oltre ad una serie significativa di concreti problemi attuativi, pone una delicata questione di principio: il perimetro della misurazione stessa”.

Secondo Fca, la rappresentanza sindacale deve essere valutata in riferimento “all’unico perimetro non arbitrario ed oggettivo: quello aziendale. In tal modo viene identificato e risolto anche l’altro problema che la contrattazione collettiva tradizionalmente presenta, l’ambito di applicazione soggettiva del contratto: la misurazione della rappresentatività dei sindacati che hanno sottoscritto un contratto collettivo in azienda consente l’attribuzione di efficacia erga omnes al contratto stesso, contratto ovviamente aziendale e non di settore”.

Il gruppo si dice quindi contrario all’affidamento da parte del legislatore alla contrattazione di settore dell’individuazione dei minimi salariali e della relativa misurazione della rappresentanza sindacale. “Una normazione siffatta costruirebbe inevitabilmente una gerarchia delle fonti contrattuali (oggi non prevista dal nostro ordinamento), con al vertice il contratto di settore e in posizione subordinata e residuale il contratto aziendale”. Fattispecie che “minerebbe nel concreto l’autonomia (ed infine anche la legittimità stessa) del Contratto collettivo specifico di lavoro di Fca, che oggi si applica a circa 90.000 lavoratori”. Fca definisce questa possibilità un “pericolo”, criticando quindi il ddl a firma Pd presentato in commissione Lavoro al Senato che attribuisce ad una commissione istituita al Cnel e formata dalle parti sociali istituzionali “la facoltà non solo di deliberare sul salario minimo ma anche sugli ambiti stessi della contrattazione, definendo ruolo e funzione dei diversi livelli contrattuali. Tutto ciò in palese violazione del primo comma dell’articolo 39 della Costituzione”.

Un anno fa, intervistato da Il diario del lavoro, De Biasi aveva usato parole molto simili affermando che “il salario minimo legale è una misura che hanno tutti i paesi industrializzati” e “garantendo una retribuzione minima per tutti, libererebbe la contrattazione consentendo una diversificazione dei modelli contrattuali, senza abolire il contratto nazionale, ma evitando che il contratto aziendale sia subordinato al nazionale come pretendono gli accordi interconfederali sottoscritti in Italia in questi anni. Non bisognerebbe dimenticare che in Germania l’introduzione del salario minimo legale è stata una bandiera dell’Spd ed è stato voluto dal sindacato che lo ha considerato un valido strumento per la sua azione”.

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