“Gio’ se piove ritorno dalle gole perché ci sono 16 persone e soprattutto 4 bambini”. A questo messaggio inviato da Antonio De Rasis, il volontario della Protezione civile che morì il 20 agosto dello scorso anno nelle gole del Raganello, a Civita, in provincia di Cosenza, l’organizzatore delle escursioni, Giovanni Vancieri, rispose: “Ok. Non dovrebbe piovere”. Si sbagliava: assieme alla guida Antonio De Rasis, morirono altre 9 persone colte dalla piena del torrente Raganello mentre si trovavano all’interno dell’area caratterizzata da gole e cascate, un canyon di 12 chilometri e profondo 400 metri, trasformatosi in una sorta di imbuto che, quando è arrivata l’acqua, non ha lasciato scampo.

La procura di Castrovillari ha notificato la chiusura indagini a 14 persone accusate, a vario titolo, di omicidio colposo, inondazione, lesioni colpose, omissione in atti d’ufficio ed esercizio abusivo della professione. Tra gli indagati ci sono i sindaci di Civita, San Lorenzo Bellizzi e Cerchiara di Calabria: Alessandro Tocci, Antonio Cersosimo e Antonio Carlomagno. Ma anche il sindaco di Francavilla Marittima, Franco Bettarini, e i titolari delle agenzie turistiche Giovanni Vancieri, Marco Massaro, Francesco Nicoletti, Vincenzina Cerchiara, Giuseppe Cesarini, Luigi Sauve e Paolo Damiano Franzese. Gli ultimi tre indagati, infine, sono Antonio Luca De Salvo, Luca D’Alba e Roberto De Marco accusati di esercitare abusivamente la professione di guida alpina.

Per il procuratore Eugenio Facciolla e per il sostituto Giovanni Tedeschi fu ignorata, in particolare dai sindaci, l’allerta gialla della Protezione civile prevista per quel giorno. Gli inquirenti parlano di “negligenza, imprudenza e imperizia” nei capi di imputazione contestati ai due titolari dell’agenzie turistiche, Giovanni Vancieri e Marco Massaro, che avrebbero “ignorato – è scritto – le incerte condizioni metereologiche, in particolare le esistenti condizioni di nuvolosità e, dunque, di probabili precipitazioni”. In questo modo avrebbero violato “prudenza, diligenza e perizia volte ad evitare l’accesso al Canyon del “Torrente Raganello” in caso di maltempo, alla luce del pericolo di piene improvvise e travolgenti dovute alla pioggia e alle conseguenti cascate che si formano lungo le alte pareti rocciose sovrastanti il percorso del torrente”. Il tutto affidandosi a guide prive dell’abilitazione professionale.

Secondo l’accusa, inoltre, nella vicenda avrebbero avuto un ruolo anche i regolamenti per l’accesso alle gole, che non sono adottati, e la mancanza di aggiornamenti dei piani di emergenza. Sono destinate ad essere archiviate, infine, le posizioni del presidente del Parco Nazionale del Pollino, Domenico Pappaterra, e del dirigente dell’ufficio Biodiversità dei Carabinieri Forestali Gaetano Gorpia. “Riteniamo che qualcuno non abbia responsabilità nell’accaduto”, ha commentato alle agenzie il procuratore Facciolla secondo cui “l’Ente Parco è stato il soggetto attivo che ha cercato di regolamentare il tutto ma le gole non ricadono nella sua competenza. Quella del Parco era un’attività propulsiva, non erano evidentemente loro a dover prendere una serie di misure che poi non sono state prese da altri”.

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