L’identificazione di Brugiatelli un’ora prima della chiamata al 112. L’ordine del maresciallo Pasquale Sansone al collega del carabiniere ucciso, Andrea Varriale. La pattuglia in appoggio che non c’è. L’operazione di recupero della refurtiva, definita “cavallo di ritorno” non avvenuta secondo i canoni e l’intervento fuori dal territorio di competenza. L’ordinanza del gip di Roma, Chiara Gallo ricostruisce le tre ore che hanno portato alla morte di Mario Cerciello Rega, il vicebrigadiere di 35 anni ucciso nella notte fra giovedì e venerdì nella colluttazione con due 19enni americani nel quartiere Prati, a Roma. E lascia aperto qualche interrogativo sull’esatta dinamica.

Nell’Arma iniziano a farsi spazio i quesiti sull’operato della centrale operativa dei carabinieri, che dovranno essere pian piano chiariti. In queste ore sono in molti – anche tra i carabinieri stessi, come hanno confermato diverse fonti a Ilfattoquotidiano.it – a chiedere un’indagine interna sull’operato dei dirigenti in questa circostanza. Perché qualcuno ha “forse sottovalutato” i fatti di giovedì notte. Parola dei magistrati di Roma che danno per scontato che il vicebrigadiere Cerciello Rega e il suo collega, Andrea Varriale, non abbiano agito di loro iniziativa, come in effetti emerge dalla ricostruzione dei pm.

Il primo incontro a Trastevere – L’elemento nuovo è certamente quello del primo incontro con Sergio Brugiatelli, il tramite fra gli americani Finnegan Lee Elder e Christian Natale Hjorth e il pusher che ha rifilato ai due il “pacco” con la tachipirina al posto della cocaina. È Varriale, l’altro carabiniere aggredito a Prati insieme a Cerciello Rega, ad annotare l’episodio. È l’1.19 quando il militare, insieme ad altri tre colleghi, riceve l’ordine dal maresciallo Pasquale Sansone – anch’egli effettivo presso la Stazione di Piazza Farnese – di raggiungerlo a Piazza Mastai. Si legge nell’ordinanza che questi erano “alla ricerca di un soggetto che si era sottratto all’identificazione dandosi alla fuga dopo aver consegnato ai militari un involucro di colore bianco”. In quel momento “veniva identificato Sergio Brugiatelli” che riferiva “di essere stato vittima di un borseggio operato da due persone”. A quel punto “gli operanti invitavano Brugiatelli a sporgere denuncia presso un qualsiasi ufficio di polizia, riprendendo il normale servizio”.

Qui sorgono le prime domande. Il maresciallo Sansone come viene a conoscenza del furto subito da Brugiatelli? Lui lo ferma per caso a Trastevere? O riceve una telefonata? Chiamata privata o sempre attraverso il 112? Secondo quanto riferito da fonti della Procura di Roma “il maresciallo non era in servizio, cerca di bloccare i pusher ma non vi riesce. Per questo poi chiama Varriale”. Dalla ricostruzione sappiamo che la pattuglia automontata – in borghese con vettura civetta – composta Cerciello Rega e Varriale aveva il turno da mezzanotte alle 6 del mattina. Fatto sta che i carabinieri dicono correttamente al derubato di sporgere denuncia all’indomani. In questo frangente ancora non aveva subito la richiesta di “riscatto” da parte dei due americani.

Il mistero del “fratellino” di Brugiatelli – Sulla base della testimonianza del tramite, la persona che avrebbe dovuto cedere la droga ai due americani era tale Italo Pompei, conosciuto poche ore prima da Brugiatelli, mentre era in compagnia di uno straniero che conosce con il nome di Medi. Intorno all’1.30 si incontrano nei pressi del cinema Alcazar, “dove stazionava – si legge nell’ordinanza del gip – con un suo conoscente di nazionalità egiziana di nome Tamer. Brugiatelli gli aveva presentato una persona con la frase “è un mio fratellino“. Proprio in quel momento, affermano i magistrati, “giungeva un motociclo di colore nero con a bordo due persone che si qualificavano come appartenenti all’Arma dei Carabinieri”. Si trattava, dicono gli inquirenti, dei militari accorsi su ordine del maresciallo Sansone.

A quel punto, i carabinieri controllano i documenti di Italo Pompei, ma non di Brugiatelli e del “fratellino” che, secondo la testimonianza dello stesso Italo, “fuggivano attraversando, velocemente, viale Trastevere” riuscendo ad allontanarsi senza essere controllati. Chi sia questo “fratellino” non è dato sapere. Ma se gli orari fossero confermati, l’identificazione di Pompei sarebbe avvenuta 10 minuti dopo quella di Brugiatelli. E comunque il furto è già avvenuto, come dimostrano le immagini estrapolate dalle videocamere di sicurezza installate a piazza Mastai, che alla fuga dei ragazzi indicano l’1.16. Anche qui una ricostruzione da definire.

Gli audio mancanti – Quando Brugiatelli chiama gli americani, li sente al telefono e questi gli chiedono soldi e droga, allora decide di chiamare il 112. Lo fa su consiglio dei carabinieri oppure autonomamente? Per quale motivo una persona che collabora con gli spacciatori, tanto da fargli da intermediario, dovrebbe telefonare alle forze dell’ordine ben sapendo di poter essere “tradito” in qualsiasi momento dagli autori del furto? I Carabinieri di Roma, nel tentativo di smentire il ruolo di “informatore” attribuito inizialmente all’ “uomo dello zaino”, e dunque a una conoscenza diretta da parte dei militari, diffondono le telefonate di Brugiatelli alla centrale operativa. Gli audio sono due, il primo con il tramite dei pusher che descrive il furto all’operatore e il secondo in cui i carabinieri annunciano l’invio a Trastevere di una pattuglia in borghese, quella formata appunto da Cerciello Rega e da Varriale.

Manca però la prima parte della prima conversazione, in cui Brugiatelli parla con l’operatore del numero unico – i centralinisti regionali del Nue filtrano le telefonate – e, soprattutto, la terza conversazione, quella con la pattuglia di Cerciello Rega e Varriale in cui dovevano essere impartiti gli ordini. Nell’ordinanza del gip si legge che “la centrale operativa decideva che l’intervento finalizzato all’identificazione degli autori del furto e del tentativo di estorsione sarebbe stato effettuato dal vicebrigadiere Mario Cerciello Rega e dal carabiniere Andrea Varriale, della stazione dei carabinieri di Roma Piazza Farnese, che unitamente al Brugiatelli si sarebbero recati sul luogo in borghese“. Alla fine si è scoperto che nello zaino rubato c’erano 30 euro, documenti e un “Nokia vecchia generazione“. Una “refurtiva” per la quale valeva la pena effettuare un’operazione del genere in piena notte? Chi ha deciso? E perché far intervenire proprio la pattuglia della stazione di Piazza Farnese, quando Trastevere è di competenza di Trastevere, appunto, e Prati di Roma San Pietro?

La pattuglia in appoggio – Gli interrogativi aumentano alla luce di come è stata gestita l’operazione. Fonti informali dell’Arma spiegano che la pattuglia in appoggio al “cavallo di ritorno” non c’era. La circostanza fin qui non è stata smentita con decisione e nell’ordinanza del gip non vi è traccia di riferimenti ad altri militati precettati. Che significa? In sostanza, quando degli agenti in borghese si recano a un appuntamento in incognito con gli autori di un reato, la procedura vorrebbe la presenza di almeno una seconda pattuglia in copertura, in divisa, armata e in grado di chiamare i soccorsi. La copertura era ancor di più necessaria in questo caso, perché si sapeva che gli autori del furto erano in due e sarebbero stati necessari almeno 4-5 militari per gestire l’operazione. Questo perché la reazione dei presunti malviventi potrebbe essere, appunto, imprevedibile. Dall’ordinanza del gip si apprende che Cerciello Rega non ha mai estratto la pistola. Perché? In una intervista a La Stampa, il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, Francesco Gargaro, afferma che “il nostro addestramento prevede che l’arma venga estratta solo quando la soluzione è molto critica e non ci sono altre soluzioni”, e in questo caso “tutto si è svolto nell’arco di 60 secondi: i militari hanno provato a difendersi ma la situazione è degenerata in un minuto”. Ma il gip smentisce parzialmente questa affermazione.

Gargaro, nel suo colloquio con il quotidiano torinese, non chiarisce nemmeno la questione della pattuglia in appoggio. “C’erano almeno quattro pattuglie in zona, ma l’aggressione è avvenuta davvero in un minuto e non c’è stato il tempo di fare intervenire gli altri colleghi“. Tant’è vero che dalle carte dei magistrati si apprende come sia stato Varriale a dare l’allarme via radio per ottenere rinforzi e che questi non erano evidentemente pronti ad intervenire. E ancora. Quando si fa un “cavallo di ritorno”, solitamente si manda avanti la vittima del furto per poi intervenire in flagranza di reato: “Di solito è questa la procedura – confermano fonti ufficiali dell’Arma – ma in questo caso si è scelta un’altra strada“. “I militari mi dicevano di rimanere vicino al mezzo, mentre loro si sarebbero recati a prendere contatti con i malviventi”, ha confermato Brugiatelli.

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