Luigi Bisignani “non doveva essere fatto fuori e doveva essere remunerato” come lobbysta in quanto “era importante” per il futuro in Eni di Claudio Descalzi e “lo poteva appoggiare per la successione di Scaroni”; Obi Emeka, il presunto intermediario già condannato in primo grado a 4 anni, “lo potevano fare fuori, e Akinmade era l’unico interlocutore credibile”. È uno dei passaggi dell’interrogatorio dell’ex manager di Eni Vincenzo Armanna, tra gli imputati a Milano, assieme tra gli altri alla compagnia petrolifera italiana, al suo ad Claudio Descalzi e al suo predecessore Paolo Scaroni e a Shell, nel processo per corruzione internazionale sulla presunta maxi-tangente versata ai politici nigeriani con retrocessioni a “uomini italiani”. 

Armanna, definito l’”accusatore” di Descalzi e Scaroni, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale ha in sostanza ripetuto quel aveva messo a verbale negli interrogatori in fase di indagine, dando qualche chiarimento in più. Ha spiegato che l’allora ministro del petrolio Dan Etete, al quale è riconducibile Malabu (la società che deteneva la licenza di Opl245), gli aveva detto “che Obi non era il suo rappresentante” e nemmeno del Governo Nigeriano e di aver saputo dall’allora capo della divisione Esplorazioni, Roberto Casula, “che era stato imposto e indicato da Scaroni” anche se l’obiettivo – visto anche la sua richiesta “non giusta” per il suo intervento nell’operazione era di 200 milioni – era “defenestrarlo”.

Nel corso del suo interrogatorio, dove non sono mancate contraddizioni o passaggi poco chiari, Armanna, in riferimento a un colloquio avuto con Descalzi (che ha deciso di querelarlo per diffamazione) nella prima parte del 2010, ha spiegato che l’attuale ad in quel periodo “mi disse che Obi andava tenuto dentro l’affare perché Scaroni aveva ricevuto indicazione di Obi da Bisignani (anche lui imputato), a cui era molto legato”. Ancora più avanti l’ex manager ha aggiunto: “Penso che la vera preoccupazione di Descalzi era non inimicarsi Bisignani perché era importante per il suo futuro in Eni e lo poteva appoggiare per la successione di Scaroni”, precisando che avrebbero potuto pagarlo con “un contratto di consulenza come lobbysta”.

Stamane le difese avevano chiesto il rinvio dell’interrogatorio di Armanna, parlando di “menomata difesa” : hanno lamentato da una lato che il deposito da parte dei pm di alcuni atti integrativi (fanno parte dell’indagine su cosiddetto ‘falso complotto e presunti depistaggi) è avvenuto solo ieri a metà pomeriggio e quindi la mancanza dei tempi necessari per studiare le carte ma soprattutto hanno indicato come necessario fare seguire il controesame di Armanna “in tempi ravvicinati” e non a settembre, come era stato deciso alla scorsa udienza. Una storia pubblicata – su un vertice per far saltare il processo – pubblicata in esclusiva sul Fatto Quotidiano.

De Pasquale nell’opporsi alla istanza ha affermato riferendosi ai verbali depositati e per i quali Eni ha reagito sporgendo una serie di querele: “Credo che la cosa peggiore che possa capitare in un processo è venire a conoscenza di fatti di corruzione e intimidazione di persone che devono rendere interrogatorio. Nel corso dell’ultimo mese siamo venuti a conoscenza da una serie di atti che Eni, in ipotesi, attraverso alcuni suoi dirigenti, abbiano, in ipotesi, avvicinato Armanna per convincerlo a ritrattare“. Il Tribunale ha poi deciso di procedere con l’interrogatorio, senza domande relative ai nuovi atti depositati e oltre all’udienza del 22 ne ha fissate altre due per il 24 e il 25 luglio.

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