“Non importa che sia nero, giallo, arabo o francese, se ti vuole bene io sono contento”.
Ha risposto così mio nonno quando mia madre, italiana, gli disse che mio padre, italiano, le aveva chiesto di sposarlo. Aveva un cognome marocchino ma lui non capiva perché mai sarebbe dovuto importare. Era il 1986.

Sono fidanzato da quattro anni e con la mia ragazza finalmente abbiamo deciso di cercare una casa da affittare, insieme. Lei è sempre stata più pratica di me nel gestire appuntamenti e burocrazie, conosce meglio Milano e le sue vie e così si è messa alla ricerca di annunci interessanti su Facebook e sui vari siti immobiliari.
Stanco del mio ruolo di panchinaro di lusso, per la prima volta scelgo di scendere in campo. Vedo un buon annuncio su Facebook, la zona è ottima, il prezzo pure e la casa è ancora disponibile. Bingo! Nella descrizione c’è il numero di telefono. Prima di chiamare e disturbare – magari dall’altro capo del telefono sono al lavoro, in vacanza, ovunque – decido di mandare un messaggio: non si sa mai. Tento di scrivere un testo ineccepibile. “Buongiorno XY, mi chiamo Alec Ben Alì Zinati, la contatto in merito a un annuncio di un bilocale in corso Lodi. Io e la mia ragazza saremmo interessati ad una soluzione di questo tipo. Per caso è ancora disponibile ed è possibile visitarla nei prossimi giorni? La ringrazio”.
Cavolo, “la contatto” va scritto con la L maiuscola e forse al posto della virgola sarebbe meglio un punto.
Dopo un paio di minuti a leggere e correggere il messaggio, lo invio.

La risposta non tarda ad arrivare.
“Di dove sei”.
Uhm. Vorrà sapere se sono un residente milanese che vuole cambiare casa? Magari vuole chiedermi se ho la macchina perché lui, il box auto, non ce l’ha e mi sta avvisando.
Più fisso lo schermo, però, e più sale il dubbio. Un po’ provocatoriamente rispondo:
Di Varese…”.
Voglio vedere se la conversazione vuole andare a parare proprio lì.
Origini”.

Già, la conversazione si è spostata proprio su quel binario.

Sebbene Facebook e i social siano ormai una palestra formidabile per imparare ad affrontare individui di questo e altro genere, mi sono sempre tenuto alla larga dal farlo. Non ho mai provato a rispondere né tanto meno ad argomentare sulle loro idee. Forse è anche per questa “inesperienza” che, leggendo questi due messaggi, la delusione è cocente.

Davvero mi hai chiesto queste cose? “Guardi, dopo queste domande mi è già passata la voglia di avere a che fare con lei. Spero che trovi qualcuno che risponda ai suoi prerequisiti razziali. In ogni caso sono italiano ma in ogni caso cercherò altre soluzioni”.

Risposta: “Non è per me è la proprietà che non vuole stranieri”.

Quindi, il caro “XY”, non si fa problemi a sostenere e diffondere questo modo di pensare ma allo stesso tempo lo accetta. Evidentemente gli sta bene così.
La mia risposta è pacata ma, ovviamente, l’affittuario non ha mai risposto.
Probabilmente non avrà nemmeno letto tutto il messaggio, liquidandomi come il solito giovanotto che ha tanto voglia di far andare la bocca. Magari ci ha guadagnato una nuova storiella da raccontare al bar. Io sicuramente ci ho guadagnato una maglia di titolare inamovibile.

Alec Ben Alì Zinati

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