Irregolarità nella contabilizzazione dei crediti, dei debiti e delle procedure di rettifica. E un giudizio “complessivamente non positivo sugli squilibri latenti in ordine al bilancio di Roma Capitale”. La Corte dei Conti ha analizzato e sostanzialmente bocciato la gestione del debito della città di Roma per la parte commissariata dal Governo, in particolare dal 2008 al 2017. I documento, molto tecnico, dei magistrati contabili ordina un sostanziale riallineamento delle partite contabili, per una “più chiara definizione dell’indebitamento pregresso trasferibile alla Gestione Commissariale, nonché della coerente pianificazione delle necessarie coperture finanziarie“. Un processo che sarà piuttosto lungo, perché i principali errori sarebbero avvenuti nel 2008, proprio al momento di separare la parte che avrebbe continuato a gestire il Campidoglio con tutta la partita di debito commissariata, pari a oltre 12 miliardi di euro. La Corte chiede, a proposito, di “avviare una puntuale verifica delle operazioni di prestito flessibile e aperture di credito sottoscritte antecedentemente al 28 aprile 2008, distinguendo per ciascuna di esse la componente già impegnata”.

Si tratta di una revisione profonda che porterà a ricalcolare tutte le partite contabili. Per i magistrati bisogna “procedere con immediatezza e carattere di assoluta priorità alla verifica di perdurante sussistenza, in base a validi titoli giuridici, e di effettiva esigibilità dei crediti iscritti in massa attiva alla voce ‘crediti da riscuotere-parte corrente'”.  Le “incertezze – si legge nel documento – hanno in concreto riguardato anche la verificabilità di corretta imputazione dei debiti cosiddetti commerciali, già impegnati in contabilità antecedentemente al 28 aprile 2008 ovvero quantificati sulla base di dichiarazioni extra-contabili dei responsabili dei servizi come debiti fuori bilancio riconoscibili”. Anche in tale prospettiva la Corte dei Conti “riafferma il rilievo operativo e funzionale degli adempimenti prescritti, intesi alla individuazione definitiva della massa passiva imputabile con riguardo agli effetti sugli equilibri di Roma Capitale, che la Sezione si riserva di monitorare“.

Sotto la lente dei magistrati contabili l’operato di un ex sindaco e tre commissari governativi: il sindaco Gianni Alemanno, poi i due nominati dal governo Berlusconi – Domenico Oriani e Massimo Varazzani – quindi il terzo commissario indicato dal governo Renzi, Silvia Scozzese (già assessora capitolina al Bilancio con Ignazio Marino). L’operazione concordata nel 2008 da Alemanno e l’allora ministro Economia e Finanze, Giulio Tremonti, prevedeva un piano di rientro del Comune di Roma arrivato negli anni a raggiungere il 2044, con 200 milioni l’anno da risarcire da parte del Campidoglio e 300 milioni prelevati dai conti nazionali. Secondo la Corte, tali operazioni sarebbero state “condotte in assenza di coordinate contabili chiare e normativamente predefinite, con criteri empirici fissati nella stessa fase attuativa in ragione della diversa tipologia di fattispecie prese in considerazione e del loro disomogeneo trattamento in contabilità finanziaria“.

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