È stato ritrovato a metà pomeriggio di sabato 13 luglio il corpo di Cosimo Massaro, 40enne operaio dell’ex Ilva di Taranto precipitato in mare con la gru il 10 luglio scorso. Dopo tre giorni di ricerche sono stati i sommozzatori dei Carabinieri provenienti da Pescara e della Capitanieria di porto di Taranto a ritrovarlo a pochi metri di distanza dalla banchina in un groviglio di lamiere e cavi a qualche metro di profondità. Operazioni durate a lungo a causa del maltempo che ancora incombe sul capoluogo ionico e del conseguente rischio di crollo delle altre due gru del quarto sporgente del porto nel quale i gruisti della fabbrica operavano per scaricare il minerale di ferro e il carbone che arrivava con le navi e attraverso i nastri trasportatori veniva trasferito in fabbrica.

La gru si è letteralmente spezzata sotto le raffiche di vento a oltre 100 chilometri orari. È precipitata nelle acque dinanzi alla banchina che non superano i 10 metri di profondità accartocciandosi su stessa e diventando un inestricabile inferno di acciaio e cavi. Ma le operazioni di ricerca sono state fortemente rallentate anche dal fatto che in quel punto l’acqua è colma delle polveri che finiscono in mare durante le operazioni di trasferimento dalle navi ai nastri trasportatori e la visibilità dei sub era drammaticamente ridotta. Il corpo di Cosimo Massaro non sarà restituito alla famiglia. Almeno per il momento. La procura che ha aperto un fascicolo disporrà l’autopsia nei prossimi giorni per comprendere le cause della morte. In questi giorni i militari della guardia costiera e gli ispettori dello Spesal hanno ascoltato le testimonianze dei colleghi di Cosimo per ricostruire le procedure operative e comprendere le dinamiche di quei momenti concitati. Non solo.

Il lavoro di indagine, coordinato dal procuratore Capristo e dai sostituti Raffaele Graziano e Filomena Di Tursi, sta cercando di comprendere anche se la catena di informazione sulla allerta meteo è stata corretta. E anche per questo sono state acquisite le comunicazioni inviate dalla Protezione civile dalle quali dipendono il livello di difficoltà e l’eventuale esenzione dal lavoro dei gruisti. Infine nel fascicolo sono confluite anche le carte relative alle operazioni di manutenzione della gru “DM5” sulla quale operava Cosimo, la stessa in cui sette anni prima è morto nello stesso modo Francesco Zaccaria. Per l’omicidio colposo di quest’ultimo sono finiti sotto processo l’allora direttore di stabilimento Adolfo Buffo, il dirigente Antonio Colucci, il capo reparto Giuseppe Di Noi e l’ispettore tecnico dell’Arpa Puglia, Giovanni Raffaelli, accusato in particolare di non aver effettuato un’idonea “verifica sull’integrità” della gru. Partiti i nuovi avvisi di garanzia: la procura infatti ha già ricostruito buona parte del quadro delle responsabilità.

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