In Germania è conosciuta per le battaglie per le madri lavoratrici e per essere una dura, un cane sciolto. Anche per questo Angela Merkel la apprezza e non ha mai voluto rinunciare a darle in ruolo nei suoi governi. 60 anni, a sua volta madre di 7 figli, Ursula von der Leyen è la prima donna a diventare presidente della Commissione europea. Fedelissima della cancelliera, tanto da essere per anni indicata come la sua vera erede, von der Leyen è un profilo di marca Cdu, fin dal padre Ernst Albrecht, ex primo ministro della Bassa Sassonia per i cristiano-democratici. Ma non è una donna di partito, anzi: per portare avanti le sue idee ha rischiato, si è fatta nemici, ma poi ha prevalso. Sopratutto quando si è occupata di temi sociali: sostegno alle famiglie a cominciare dagli asili nido, assegno parentale, ricalcolo dell’assegno dell’Hartz IV (il reddito di cittadinanza tedesco). Tutte sue vittorie.

La sua carriera politica dice che, da donna vicina ad Angela Merkel, le sue posizioni sull’austerity sono molto simili all’idea della cancelliera. Ma nel declinare quella che in Germania chiamano sparpolitik (politica del risparmio) potrebbe avere una sensibilità diversa. Forse anche per questo all’Italia non dispiace la sua nomina. Nel 2003, con appena due anni di esperienza politica alle spalle, von der Leyen era già ministra degli Affari sociali della Bassa Sassonia e viene ricordata per aver subito imposto il suo credo, tanto da risultare più socialdemocratica dell’allora Spd. Ma nello stesso periodo sarà anche travolta dalla prima polemica per aver tagliato i fondi destinati ai ciechi, seguendo la politica dei tagli voluta dall’allora primo ministro del Land, Christian Wulff.

Nel 2005 la Merkel sceglie lei per guidare il ministero della Famiglia. Sono gli anni delle battaglie (vinte) per permettere alle donne tedesche di conciliare la vita lavorativa e il loro ruolo di madri. Combatte soprattutto con l’allora ministro delle finanze Peer Steinbrück, del governo di coalizione, su come finanziare le misure.  Nel 2009 viene riconfermata allo stesso dicastero, prima di passare al ministero del Lavoro dopo le dimissioni di Franz Josef Jung. Proprio da ministro del Lavoro del governo Merkel, nel 2013, in un’intervista rilasciata a L’Espresso in cui le si chiedeva se l’austerity fosse una politica da portare avanti in eterno, von der Leyen disse che “in tedesco non abbiamo neppure la parola che traduca ‘austerity’. Ma basta il senso comune a suggerirci che non possiamo vivere al di sopra dei nostri mezzi, delle entrate che incassiamo. Tutto ciò che spendiamo in più accumula costi ulteriori sulle future generazioni. E io non credo che sia giusto far giocare i nostri figli su montagne di debiti. Per questo dobbiamo modernizzare i sistemi di produzione e di formazione professionale. La nostra vera concorrenza non è in Europa, ma sono gli investitori in un mondo globalizzato”.

Nei suoi 4 anni da ministro del Lavoro si occupa di lotta alla povertà degli anziani, di diritti delle persone con disabilità e del problema del dumping salariale, chiedendo un salario minimo negoziato da sindacati e datori di lavoro a parità di condizioni. Nel 2013, Merkel sceglie per von der Leyen il ruolo più difficile: la guida del ministero della Difesa, epilogo della carriera politica di molti suoi predecessori. Von der Leyen affronta i problemi dell’Esercito, chiedendo più volte di aumentare la quota di bilancio da destinare alle Forze Armate. Due anni fa è stata al centro di uno scontro frontale con i vertici militari tedeschi dopo che era scoppiato uno scandalo sulla presenza di militari filonazisti nella Bundeswehr, avendo von der Leyen accusato i generali di “debolezza“.

Ancora una volta von der Leyen va per la sua strada, propone un’inversione di tendenza nelle strategie militari, rafforza la presenza al confine con la Russia a lavora a una collaborazione sempre più forte con la Francia per creare un’esercito europeo, perché considera un’Europa più unita il miglior antidoto ai nazionalismi. Questa volta però la linea dura e indipendente non paga e nell’ultimo governo Merkel la sua posizione diventa man mano più debole. I Verdi la attaccano per delle consulenze che definiscono “gonfiate”. Un ruolo internazionale era già nell’aria almeno dall’inizio del 2019, per liberarsi di quella poltrona alla Difesa che non ha mai gradito. Sarà alla guida della Commissione europea a cui l’Italia chiede di “cambiare le regole“: partirà da un’idea molto vicina a quella di Angela Merkel e del Ppe, ma alla fine deciderà di testa sua.

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