Franco Arnaboldi è un imprenditore agricolo di Cecina che da 40 anni lotta per ottenere dallo Stato un risarcimento per espropriazione illecita dei propri terreni, effettuata per costruirvi sopra l’Autostrada Aurelia nel 1980. Un cittadino onesto che un giorno si è trovato davanti casa i picchetti, senza preavviso. Immaginatevi per un attimo la scena: un giorno vi svegliate, e ciò che è vostro – ciò per cui avete lottato, pagato, lavorato – di colpo non lo è più.

Franco, che aveva deciso di investire denaro e risorse nel proprio Paese, compiendo un atto di fiducia nei confronti del corretto funzionamento delle sue istituzioni, fu costretto a impugnare l’unica arma a sua disposizione: i ricorsi in Tribunale. E in tutti i gradi di giudizio, anche in sede europea, gli venne dato ragione: lo Stato è dichiarato colpevole di “acquisizione usurpativa ed esproprio illecito” nei confronti di Arnaboldi.

Nonostante questo, ancora oggi Franco aspetta di ricevere indietro dallo Stato ciò che è suo di diritto. Come se non bastasse, quello stesso Stato gli si accanisce contro sottraendogli la casa: è finita all’asta in seguito a un contenzioso sulle spese processuali, spese che Franco è stato chiamato a saldare pur avendo sempre vinto e pur non avendo mai visto un centesimo di quello che le stesse Aule di Tribunale hanno dichiarato gli spetti di diritto.

La giustizia certificata dalle sentenze ma ignorata dalle istituzioni adesso punisce addirittura Franco con l’atto di esecuzione del suo sfratto, programmato per il 3 luglio. Abbandonato a se stesso, Franco ha scoperto di avere accesso a un’altra potente arma: quella di raccogliere attorno a sé le voci di altri cittadini – 114mila, per la precisione – uniti contro le ingiustizie attraverso una petizione online. Se non fosse stato per la solidarietà degli utenti su Change.org, la storia di Franco – come ha lui stesso affermato – sarebbe stata dimenticata da tutti: media, politica, istituzioni.

Mentre proseguiva questa odissea, sulla piattaforma nasceva un’altra petizione: quella per Marcello Di Finizio, imprenditore balneare friulano che ha perso l’attività a causa dell’inerzia della burocrazia. Nel 2010, con l’imminente entrata in vigore della Direttiva Bolkenstein e la scadenza della concessione balneare, a Di Finizio fu negato l’accesso ai crediti bancari per ristrutturare lo stabilimento, fortemente danneggiato da una mareggiata. Marcello perse tutto: l’attività e la casa, pignorata a garanzia di prestiti contratti in passato. Il Comune, quell’anno, promise di aiutare coloro che avevano subito danni a causa delle calamità naturali. Ma da allora, nulla è stato fatto. Da più di un mese Marcello si trova su una gru Ursus a Trieste per riportare all’attenzione delle istituzioni il suo caso.

Ora, sappiamo bene che una democrazia per essere sana necessita del contributo di tutti. Ma questi cittadini non possono essere lasciati soli. E mi chiedo come sia possibile che solo grazie alla mobilitazione online le loro storie non siano finite nel dimenticatoio. Quando abbiamo letto per la prima volta le storie di Franco Arnaboldi e Marcello Di Finizio su Change.org, vittime della malagiustizia, abbiamo capito che stava accadendo qualcosa di grave, capace di ledere per sempre quel rapporto di fiducia che è imprescindibile per la tenuta della nostra democrazia. Abbiamo capito che non potevamo stare fermi a guardare.

Perché la verità è che non ci si può sempre difendere da soli. Qui ognuno è pronto a fare la propria parte, ma adesso le istituzioni e la politica devono fare la loro. Dov’è la politica, dove sono le istituzioni al di là delle parole e della retorica, quando c’è da difendere gli interessi concreti di cittadini onesti abbandonati a loro stessi? Dietro Franco e Marcello oggi ci dovrebbe essere una schiera di rappresentanti pronti ad aiutarli. Se dovesse venire meno il patto di fiducia tra istituzioni e cittadini, allora verrà meno la fiducia nel futuro di questo Paese, e questo non possiamo assolutamente permetterlo.

Chiediamo quindi a tutti di continuare a firmare contro le ingiustizie, di non lasciare sole persone come Marcello e Franco. Una firma, e l’aiuto concreto che ne deriva, può fare la differenza. Per affermare i diritti – e il diritto – di tutti ci vogliono le forze di ognuno.

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