Li aveva conosciuti personalmente. E si era anche già intascata i 1200 euro di caparra in contanti. Ma non appena ha scoperto che Fabio e Stefano erano una coppia omosessuale, ha deciso che nel suo appartamento non potevano stare: “Siete gay, non vi affitto casa mia”, gli ha urlato in faccia raggiungendoli direttamente sul posto di lavoro, in una sorta di spedizione punitiva a cui hanno preso parte anche la madre e la persona che aveva mostrato ai due l’abitazione. Poi ha restituito i soldi, come per gentile concessione: “Sembrava fossimo noi in torto per aver nascosto qualcosa di illegale, come succedeva con gli ebrei”, raccontano Fabio e Stefano, che sicuri di aver trovato un nuovo posto in cui vivere, più vicino al centro di Pavia, avevano già dato la disdetta per la loro attuale sistemazione e si sono ritrovati da un giorno all’altro senza casa.

Ma non è per questo che hanno deciso di andare fino in fondo contro la donna che li ha discriminati: “Non deve passare il concetto che nei nostri confronti si può agire come si vuole, anche con violenza, senza pagarne le conseguenze, come se tutto fosse lecito. Noi camminiamo a testa alta per Pavia, dove viviamo felici delle nostre scelte e non abbiamo mai avuto problemi. Ma sappiamo che c’è chi non è fortunato come noi, magari non ha nemmeno l’appoggio della famiglia ed è portato a nascondersi. È anche per loro che andiamo avanti e vogliamo ristabilire un principio di giustizia”.

Fabio ha 37 anni ed è nato e cresciuto a Firenze. Lì ha conosciuto Stefano, 35 anni, di Pavia, con cui dopo qualche anno ha deciso di sposarsi e trasferirsi in Lombardia. “Qui ci siamo sempre trovati benissimo, la gente ci conosce e ci ferma per strada. Viviamo tranquillamente la nostra omosessualità, come tanti in città”. Da qualche settimana erano in cerca di un appartamento più vicino al centro e pensavano di aver trovato quello perfetto. A mostrarglielo non era stata la proprietaria, ma un parente che la aiuta nella gestione degli affitti. Loro, entusiasti, dopo la visita contattano subito la donna chiedendo un incontro, che avviene il giorno dopo. “Abbiamo parlato della casa, i soliti chiarimenti: i lavori da fare, le spese da sostenere ogni mese. Eravamo d’accordo su tutto e le abbiamo consegnato la cauzione in contanti. E lei ha preso subito i nostri soldi, tra l’altro senza rilasciarci nessun tipo di impegno ad affittarci la casa”. Si lasciano però con la promessa di rivedersi entro pochi giorni per la firma del contratto e la consegna delle chiavi.

Ma è a quel punto che iniziano le telefonate da parte della persona che gli aveva mostrato la casa: “Ci continuava a chiamare e ogni volta voleva un’informazione diversa”, racconta Fabio. “Mi ha chiesto dove avevo la residenza e come mai l’avevo mantenuta a Firenze. Poi è passato alla denuncia dei redditi che avevo consegnato per dimostrare che avevo un lavoro ed ero in grado di pagare l’affitto richiesto”. Ma l’obiettivo era un altro: “Voleva sapere con chi ero sposato, dicendo che erano domande di routine. Ho iniziato ad avere qualche dubbio, perché sembrava un’indagine, ma ovviamente ho detto la verità. Non ero obbligato, ma perché avrei dovuto nasconderlo? È la mia vita privata e sono libero di fare ciò che che voglio”.

Stefano allora chiama la proprietaria e scopre che quelle preoccupazioni erano fondate: “Le ho chiesto il perché di tutte quelle domande e lei mi ha aggredito, iniziando a urlare e dicendo che non ci avrebbe mai affittato la casa perché siamo due uomini sposati”. Poi li avvisa: “domattina vengo da voi”. E così fa. Insieme alla madre e all’altra persona della famiglia li raggiunge sul posto di lavoro, dove spiega senza timore che non gli avrebbe affittato la casa “perché siete gay. Siete fortunati a riavere la caparra, avrei potuto anche non restituirla”.

Fabio e Stefano, fidandosi della parola della donna, avevano già dato la disdetta per l’alloggio in cui vivevano e da qualche giorno sono ospiti di un’amica, in attesa di trovare un altro appartamento. Ma hanno deciso che non lasceranno cadere questa storia: “È vero che ognuno in casa sua può metterci chi vuole, però una volta che chiedi tutto quello che vuoi sapere e accetti anche dei soldi, vuol dire che hai deciso”. E l’avvocato a cui si sono rivolti farà leva proprio sul fatto che tra la parti era già stato concluso un contratto, anche se solo oralmente. “Quello che non è ammissibile è che queste persone abbiano agito come se avessero la ragione dalla loro parte. Non so cosa sia scattato nella testa della proprietaria, forse la paura di essere etichettata come quella che affitta la casa ai gay. Che si tenga pure questi ragionamenti da Medioevo, noi andiamo avanti per i tanti Fabio e Stefano che non hanno la forza di denunciare”.

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