“A rileggerlo dopo tanto tempo, mi colpisce la sua profonda contemporaneità. Eppure Il Giorno della civetta è stato pubblicato nel 1961, sono passati quasi 60 anni. Da allora non siamo cambiati”. Gianni Biondillo, scrittore e architetto, è “spaventato” dalla considerazione che gli ha subito suscitato il brano di Leonardo Sciascia proposto alla prima prova della maturità. Un brano in cui il capitano Bellodi, che indaga sull’omicidio dell’imprenditore edile Salvatore Colasberna, si scontra con i silenzi dei suoi familiari e soci. “È il momento topico dell’indagine – spiega Biondillo – in cui il capitano, l’eroe, si ritrova solo, con tutto il paese contro. Con i depistaggi tipici della cultura omertosa, che è la stessa di oggi”. Analogo il clima in cui tuttora si devono muovere le indagini sulla mafia, ancora attuali certe polemiche che furono quelle di allora. “Quando uscì il romanzo di Sciascia ci furono interrogazioni parlamentari, gente che sosteneva che la mafia non esiste”.

La traccia proposta per l’analisi del testo, secondo Biondillo, non è complessa, è alla portata dei maturandi. “Sciascia è un grandissimo del Novecento, gli studenti ne hanno sicuramente sentito parlare anche se magari non sono arrivati a studiarlo a scuola”. Una scelta che piace allo scrittore anche perché “potrebbe scatenare tutta una serie di discorsi che hanno a che fare con la letteratura di genere. Il Giorno della civetta infatti è un giallo, per quanto i professoroni con il lauro in testa non lo vogliano ammettere. E visto che in questo momento i gialli vanno per la maggiore e gli studenti magari ne hanno letto qualcuno, potrebbero trovare uno spunto per fare dei confronti”.

Da autore di romanzi gialli quale è, Biondillo non si sarebbe però cimentato nell’analisi di questo testo. Ma nella poesia di Giuseppe Ungaretti Risvegli, pubblicata sia nella raccolta L’Allegria che in Il Porto sepolto. “Sono un grande lettore di poesie – spiega -. Io alla maturità svolsi proprio il tema letterario che parlava della prima guerra mondiale, citai Ungaretti e tutta la poesia del fronte. Dopo più di trent’anni, non è cambiato nulla”. Sempre a Ungaretti siamo. “Un buon porto d’approdo per gli studenti, più che un porto sepolto. Ungaretti è un grande classico, quasi una certezza. Un anno sì e uno no gira voce che questa sarà la volta di Ungaretti”. Cosa che dovrebbe rassicurare gli studenti, benché la poesia non sia una delle più famose: “Non è una di quelle che di solito si studiano a scuola – nota Biondillo -. Ma i temi affrontati sono quelli tipici di altre sue poesie: In memoria, Veglia, Fratelli, Sono una creatura, I fiumi. Temi come la tragedia della guerra e nello stesso tempo la riscoperta dell’umanità”.

Così se all’inizio gli studenti si sentissero disorientati per una poesia che non conoscono, basterebbe loro fermarsi un attimo per accorgersi che si tratta del classico Ungaretti. “Al centro c’è l’uomo come creatura di fronte all’immensità della storia, della tragedia della guerra, un uomo che continua a vivere, per quanto nella sua fragilità, in un anelito superiore. Quando si chiede ‘Ma Dio cos’è?’, ti tremano i polsi, senti che anche di fronte a questo paesaggio disastrato dalla guerra c’è un mistero dell’umanità che si ricollega all’Eterno, al Superiore. L’uomo non è mai davvero solo, è attorniato da fratelli che sono stranieri come lui in un mondo che sembra straniero, allucinato, lunare, come è quello della guerra. Un mondo dove allo stesso tempo l’umanità riesce a rifiorire”.

Temi che i maturandi sono chiamati ciclicamente ad affrontare: “Anche quando ho fatto la maturità io – riflette Biondillo – c’era la grande triade Ungaretti-Montale-Saba, non si riusciva a vedere oltre. Mi spaventa che oggi siamo ancora lì. Dei poeti della seconda metà del Novecento gli studenti conoscono a mala pena i nomi, ma non la produzione. Con ogni probabilità non hanno mai letto poesie di Zanzotto, Pasolini, Balestrini. Mi deprime che la maggior parte di loro non avrà più occasione di incontrarli, perché passata la maturità chiuderà le antologie e non le aprirà più”. Da qui una provocazione: “I poeti non sono tutti morti, esistono anche poeti viventi. Se il ministero avesse scelto la poesia di un poeta vivente, sarebbe stato un colpo straordinario, anche come segnale nei confronti della cultura. Ma nello stesso tempo avrebbe fatto diventare matti questi poveri ragazzi”.

Twitter: @gigi_gno

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