Un “tavolo permanente” tra le mafie a Roma. Un patto federativo fra i siciliani e la camorra “casalese”. Un “livello di aggregazione che non esiste in nessun’altra parte d’Italia”. Ed è in questo contesto che si inserisce l’inchiesta della Dda di Roma, guidata da Michele Prestipino, che ha spezzato gli “equilibri” creati dal clan Fragalà, fra i più potenti dell’area del litorale a sud della Capitale (Anzio, Nettuno e Torvaianica). 

“A Milano non si muoveva una foglia senza il nostor volere” – “Un’amicizia di vecchia data” con degli “equilibri che non si devono rompere”, come ha ammesso lo “zio” Francesco D’Agati, esponente di spicco del clan Santapaola e figura centrale dell’inchiesta che ha portato l’Antimafia a infliggere un duro colpo al clan Fragalà, fra i più potenti dell’area del litorale a sud della Capitale (Anzio, Nettuno e Torvaianica). “U’ zio Ciccio, reggente di Palermo, è quello che rappresenta la mafia qua a Roma”, lo descrive, tessendone le lodi, Gaetano Mirabelli, ergastolano in semilibertà affiliato ai Santapaola mentre il boss si vantava dei suoi trascorsi milanesi fra il 1970 e il 1975, i “bei tempi” quando “i piccioli (i soldi, ndr) non sapevamo dove metterli” e “a Milano non si muoveva una foglia senza il nostro volere: i calabresi lo sai come si inchinavano? Erano sottomessi a noi! I calabresi non dovevano parlare”. Conversazione andata in scena il 1 luglio 2015, nei minuti precedenti a uno dei vertici di mafia che si stavano svolgendo a cavallo fra i quartieri Tuscolano e Casilino a Roma, e ai quale avrebbero partecipato Vincenzo e Angelo Senese, reggenti dell’omonimo clan camorristico e rispettivamente padre e fratello di Michele “O pazzo”, uno dei “quattro re di Roma” in carcere dal 2013 e celebre per i suoi rapporti con Massimo Carminati.

Il vertice con i Senese – La necessità di incontrarsi nasce per “non rompere gli equilibri” nasceva dalla controversia nata fra i Fragalà, capo dell’omonima famiglia di origini catanesi che teneva in scacco l’area, e Mirko Calì, commerciante protetto dai Senese, contenzioso sfociato rapidamente in una serie di ritorsioni fra minacce, pestaggi e sparatorie. La faida che stava per nascere rischiava di rovinare i piani di U’ zio Ciccio, che si è subito speso per provare a rimettere pace. “Sono una persona anziana che è stata chiamata per stabilire torto e ragioni. Sono il custode di tutti”, affermava D’Agati. Gli incontri fra i Fragalà e i Senese, mediato da D’Agati, si sono svolti fra il 30 giugno e l’8 luglio 2015 in gran parte nella sede della Cooperativa Giano. L’ultimo, fra Vincenzo Senese e Francesco D’Agati “in occasione della controversia relativa all’imprenditore Ciro Magazzino si conclude con la consumazione condivisa di prelibati cannoli”. Una mediazione che ricorda da vicino la pax di Ostia sancita dopo il 2011, all’indomani degli omicidi di Giovanni Galleoni detto “Baficchio” e Francesco Antonini, detto “Sorcanera”, che ridefinì gli equilibri fra i Triassi, i Fasciani e gli Spada, sancendo il definitivo “salto di qualità” di questi ultimi. Pace non a caso mediata anche allora da Zio Ciccio. 

La Milano anni ’70 – Nei minuti precedenti a uno degli incontri con i Senese, come detto, D’Agati ha raccontato un interessante spaccato di quanto accadeva a Milano all’inizio degli anni settanta, dimostrando come l’arrivo della criminalità organizzata al nord sia piuttosto datata. “Minchia che era bello a Milano fra gli anni settanta, settantacinque – diceva l’anziano boss – i piccioli non sapevamo dove metterli”, trovando riscontro in Gaetano Mirabella, che aggiungeva: “Erano bei tempi veramente poiché c’era rispetto, educazione  dignità, orgoglio”. D’Agati raccontava che nel capoluogo meneghino era solito frequentare Santo Mazzei, detto “U carcagnusu”, esponente della fazione avversa a quella di Mirabella. Tra gli altri, D’Agati condivideva con Gaetano Mirabella la conoscenza diretta di Gaetano Fidanzati, esponente di vertice della famiglia mafiosa dell’ Acquasanta di Palermo, per molti anni attivo nel settore del narcotraffico. “A Milano non si muoveva una foglia senza il nostro volere. I calabresi lo sai si inchinavano, erano sottomessi a noi, non dovevano parlare”.

La battaglia con i calabresi – “Qua se c’è qualcuno che comanda sono i Fragalà e basta! Torvaianica abbiamo sempre comandato noi! La prossima volta che rientri qua, ti faccio uscire con i piedi davanti!”, dice Ignazio Fragalà a una persona, incontrata in un bar, che aveva esaltato il potere criminale del pregiudicato Sebastiano Giuliano. Scorrendo l’ordinanza firmata dal gip Corrado Cappiello, infatti, si capisce in più occasioni che il sodalizio è fondamentale soprattutto per contrastare la ‘ndrangheta, con la quale in più di un’occasione si arriva allo scontro. Il 5 febbraio 2016, Alessandro Fragalà va su tutte le furie quando scopre che alcuni calabresi avevano chiesto il pizzo a un suo “protetto”. “Vabbè, allora facciamo così, ce la sbrighiamo noi. Gli ho detto ‘da ‘dove sei venuto tu scusa? Dalla Calabria? Allora torna in Calabria!’ Vogliono venire questi calabresi, falli venire! Devono sapere però dove vanno e quello che fanno, perché questo non è territorio di calabresi”.

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