La nave Bahri Yanbu, cargo saudita carico di armi, è attesa al porto di Genova alle 11 del 19 maggio. Doveva passare da Le Havre, in Francia, il 10 maggio, ma grazie alla denuncia del media francese Disclose, che ne ha scovato per primo la rotta, un gruppo associazioni pacifiste transalpine è riuscito a impedirne l’attracco. In Italia alcuni gruppi, tra pacifisti e marittimi che lavorano al porto, stanno cercando di replicare la protesta a Genova. Il problema, però, è che Bahri Yanbu non è nuova agli attracchi in Italia: solo negli ultimi sei mesi è stata il 15 marzo e il 6 gennaio (per 24 ore circa in entrambi i casi), a Genova, e tra il 7 e l’11 novembre del 2018 a Livorno. A caricare cosa, è impossibile dirlo.

Quel che è certo è che Bahri Yanbu è una delle sei traghetti per il trasporto di veicoli su gomma (in gergo Ro Ro Cargo) che compongono la flotta della compagnia nazionale saudita Bahri Shipping, usata da Riad per acquistare e trasferire armi in tutto il mondo. Le navi sorelle si chiamano Bahri Jeddah, Bahri Tabuk, Bahri Abha, Bahri Yazan e Bahri Hofuf. La prima per certo ha caricato al porto di Cagliari armamenti prodotti dalla Rwm Italia, branca nostrana della tedesca Rheinmetall, il 9 giugno 2016. Bahri Janzan si è fermata a Genova, prima di dirigersi a Veracruz, in Messico, tra il 23 e il 24 aprile e tra il 17 e 18 febbraio. Il 13 ottobre 2018 ha fatto anche 13 ore di sosta al porto di Cagliari. Stesso porto e stesse ore di sosta per Bahri Hofuf, a dicembre 2018. La nave nel luglio 2014 era stata fermata dagli ispettori del porto di Genova perché non aveva le bolle d’accompagnamento necessarie ad un carico di armamenti. Cagliari e Genova sono stati attracchi per Bahri Abha tra il 25 e il 27 marzo, mentre Bahri Tabuk non si vede in Sardegna dal luglio 2018.

E questi sono i movimenti tracciabili: in media, secondo i report dei Lloyd’s inglesi, l’ultimo anno le navi saudite per almeno 34 fino a 71 giorni hanno tenuto spenti i transponder, rendendosi invisibili ai radar. La principale accusa delle ong pacifiste è che le armi caricate in Europa uccidano civili in Yemen, dove l’Arabia Saudita guida la Coalizione contro i ribelli Houthi: con Riad sono schierati i gruppi che sostengono il governo del presidente Abd Rabbih Mansur Hadi, i Paesi del Golfo, la Giordania, l’Egitto, il Marocco, il Sudan e il Senegal. Dall’altra parte, con i ribelli sciiti, Iran ed Hezbollah. In mezzo, la presenza di terroristi di Al Qaeda nella Penisola arabica (Aqap), che stanno cercando di approfittare del caos per guadagnare terreno. Immagini satellitari mostrano una delle navi ferma ad Aden, porto yemenita sotto il controllo dell’esercito saudita dal 2015, in due occasioni nel 2016. Al suo arrivo in porto, c’erano sempre uomini in mimetica e veicoli militari.


Le uniche foto del carico trasportato da una delle Bahri risalgono allo scorso anno e al 2016. Nelle prime, pubblicate oggi da Repubblica, si riconoscono dei LAV 700, di produzione canadese e usati dall’Arabia Saudita in Yemen, insieme a dei MaxxPro della Navistar Defense, mezzi made in USA che Amnesty ha documentato in mano a milizie yemenite che combattono a fianco degli Emirati. Tra i porti di transito che appaiono più di frequente nei diari di bordo delle Bahri ci sono infatti Jebel Ali (UAE) e Halifax, ma anche Baltimora e Houston. Le foto del 2016 ritraggono dei Tygra, veicoli armati prodotti dall’azienda emiratina Mezcal. Quella nave, la Bahri Abha, era partita dal porto emiratino, quando è entrata al porto di Tobruk, in Libia, il 17 aprile del 2016, come confermano anche delle foto caricate da Facebook.

Di quel carico se ne è occupato il Panel di esperti sulla Libia del Consiglio di sicurezza dell’Onu perché ha violato l’embargo sull’ingresso delle armi in vigore dal 2011. La nave cargo trasportava 549 veicoli armati, tra cui 18 Tygra e altri 76 Panther T6, prodotti da un’altra azienda emiratina, la Minerva Special Purpose Vehicles. Emirati e Arabia Saudita sono nel Golfo i principali sponsor del generale ribelle Khalifa Haftar, l’uomo forte di Tobruk che dall’inizio di aprile ha mosso su Tripoli per conquistare la Libia. Secondo il rapporto del Panel del 2017, quegli armamenti rientravano in una commessa che la Ard el Theqa General Trading, altra azienda di Dubai, aveva stretto con il ministero dell’Interno di Tripoli, prima che Haftar si prendesse la Cirenaica, parte orientale della Libia, sfidando il governo della capitale sostenuto dalle Nazioni Unite. Sempre stando all’inchiesta svolta dagli esperti dell’Onu, questi stessi veicoli sono stati dispiegati dall’Esercito nazionale libico di Haftar nella guerra nella regione centrale della Mezzaluna del greggio, regione intorno a Ras Lanuf, ricca di petrolio.

In Europa, invece, le navi della Bahri hanno fatto spesso tappa a Danzica, Polonia, nella seconda metà del 2016. Il Paese aveva in essere un commessa per la consegna di 40 veicoli Patria 8×8 prodotti dall’azienda di armamenti locali Rosomak Sa. Ricercatori di Amnesty International attraverso immagini da tv e social media sono riusciti a localizzarne alcuni a Houdaida, provincia che si affaccia sul Mar Rosso, tra le più colpite dal conflitto. Il 15 maggio Middle East Eye riporta che è stato rotto il coprifuoco a cui le Nazioni Unite erano giunte dopo mesi di trattative per impedire che la città ripiombasse nella crisi umanitaria.

Ha collaborato Leone Hadavi

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