di Francesca Garisto* e Francesca Pollastro**

Gli strumenti giuridici a disposizione delle imprese per attribuire a una società esterna la produzione di un prodotto o la fornitura di un servizio sono molteplici e in un’epoca in cui la terminologia anglosassone si insinua nel nostro vocabolario con sempre maggiore insistenza, tali strumenti assumono, quantomeno nel gergo imprenditoriale, la definizione di “accordi in outsourcing”.

L’esternalizzazione comporta, assieme agli indubbi vantaggi economici per l’impresa, alcuni palesi inconvenienti per i lavoratori, come quello che si verifica quando tra le diverse imprese che si trovano a cooperare, i rapporti di lavoro di dipendenti che appartengono alla stessa categoria vengano regolati con contratti e condizioni diverse; o quando si riscontra la diminuzione del grado di sindacalizzazione degli operai, conseguente alla diminuzione delle dimensioni delle imprese coinvolte nella catena degli appalti. Inoltre, la compresenza di imprese nell’esecuzione della stessa opera, se è vero che costituisce una prassi consolidata e auspicabile per l’impresa che appalta, è anche vero che rappresenta un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, definito dalla disciplina antinfortunistica “rischio interferenziale”.

Il concetto di interferenza, intendendo come tale il rapporto tra più imprese che cooperano tra loro nel medesimo luogo di lavoro, è stato oggetto di ripetute decisioni della Corte di Cassazione che ha affrontato il particolare aspetto della responsabilità dei diversi imprenditori in ipotesi di infortuni sul lavoro. A tale aspetto si collegano gli obblighi di coordinamento e di cooperazione tra le imprese nella valutazione dei rischi e nell’attuazione degli interventi di natura preventiva.

In particolare, l’art. 26 del Decreto Legislativo 81/2008, in tema di sicurezza sul lavoro, dispone gli obblighi connessi alla presenza di contratti di appalto, di opera o somministrazione. Fra tali obblighi, di fondamentale importanza è la redazione del Documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze, meglio noto come Duvri, nell’ambito del quale devono essere indicate in maniera specifica le misure di sicurezza precauzionali che tutti i soggetti coinvolti devono adottare, volte all’eliminazione dei rischi nelle aree di interferenza (Corte di Cassazione, sezione III, 9 novembre 2018, n. 51029).

La giurisprudenza ha affrontato ripetutamente l’aspetto inerente all’obbligo della predisposizione di tale documento e dei suoi contenuti necessari, enucleando due fondamentali principi di diritto: da un lato l’obbligatorietà in tutte le ipotesi in cui si riscontri una interferenza, dall’altro la necessaria completezza e non genericità del documento. Proprio muovendo da tali principi è possibile delineare una definizione più specifica del concetto di interferenza, intendendo il medesimo come la circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e il personale delle diverse imprese che con questi cooperano, nell’ambito del medesimo luogo di lavoro.

La Corte di Cassazione ha poi fornito una valutazione assai estensiva del concetto di interferenza, attraverso una lettura funzionale delle norme che prescinde dalla definizione civilistica della tipologia contrattuale, quale appalto, somministrazione o contratto d’opera con cui le parti hanno formalmente qualificato il loro rapporto.

Il problema, in particolare, non è tanto quello di valutare il tipo di contratto che regola i rapporti tra le imprese, quanto valutare la concreta esistenza di una interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro, quale possibile fonte di rischi per l’incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, 9 novembre 2015 n. 44791; 20 marzo 2017 n. 13456). Inoltre, questo documento deve essere attualizzato ai rischi concreti presenti nel luogo di lavoro nella disponibilità della committenza, oltre a dover essere aggiornato con continuità, sulla base di mutamenti sopravvenuti che possono essere potenzialmente suscettibili di determinare nuove e diverse esposizioni dei lavoratori a rischi per la salute (Corte di Cassazione, Sez. IV, 8 febbraio 2018 n. 6121).

In presenza di tale concreta interferenza infatti, i rischi per la salute dei lavoratori aumentano sensibilmente e non è un caso che la maggior parte degli infortuni e delle morti sul lavoro, sempre più numerose, avvenga nel settore edile, in cui la prassi dell’esternalizzazione, maggiormente invalsa rispetto ad altri comparti produttivi, consente lo sfruttamento dei vantaggi derivanti dall’utilizzo di manodopera a basso costo per lo svolgimento delle mansioni meno qualificate.

Peraltro, con prevalente riferimento al settore edile, è frequente che la complessità delle opere da realizzare determini l’accentramento degli appalti nelle mani di grandi imprese (più attrezzate e sindacalizzate delle piccole e micro imprese) riguardo alle quali il divieto di esternalizzare opere realizzabili direttamente costituirebbe un innegabile vantaggio per i lavoratori e la loro sicurezza per i motivi appena detti, senza particolare danno per l’azienda.

La previsione del rischio interferenziale invece, pur costituendo un apprezzabile determinazione del legislatore in tema di sicurezza, interviene a valle della prassi delle esternalizzazioni, attribuendo al committente il mero onere, comunque irrinunciabile, di gestire il rischio di infortuni determinato dalla partecipazione di più imprese alla realizzazione dell’opera.

Sarebbe tuttavia auspicabile un ulteriore intervento legislativo, a monte del problema, limitando la possibilità di esternalizzare quei lavori, in regime di appalto o di subappalto, i quali, per competenze e risorse finanziarie, possono facilmente essere realizzati dalla società appaltante. Con buona probabilità ne seguirebbe una diminuzione delle pratiche speculative e un trasferimento di manodopera non qualificata dalla micro impresa (più frequentemente caratterizzata dalla presenza di lavoro nero) alla medio-grande impresa, con i benefici prevedibili per i lavoratori in termini di sicurezza e salario.

* Avvocata penalista, consulente della CGIL di Milano, vice-presidente del Centro antiviolenza Casa delle Donne Maltrattate di Milano, da sempre impegnata nella difesa delle donne vittime di violenza, psicologica, fisica ed economica, che si consuma in ambito “domestico” e nella difesa di uomini e donne che subiscono violenza, in tutte le sue espressioni, nei luoghi di lavoro.
** Praticante avvocato in materia giuslavorista, tutor in diritto penale presso L’università degli studi di Pavia e Specializzanda presso Scuola di specializzazione per le professioni legali – Università di Pavia/Università Bocconi.

Articolo Precedente

Lavoro, l’80% dei diplomati degli istituti tecnici superiori è occupato entro un anno. Bussetti: “Stanziati 32 milioni”

next
Articolo Successivo

Ceva Italia, commissariato il gigante della logistica: “Sfruttamento e caporalato”

next