Trenta miliardi di dollari per costruire la pace tra Israele e Palestina, il 20% finanziati dagli Stati Uniti, il 10% dall’Unione europea e il 70% dai paesi del Golfo in percentuali basate sulle loro produzioni di petrolio. Secondo quanto riporta La Stampa, che dice di essere entrata in possesso di una bozza del piano di pace pensato dal genero e consigliere di Donald Trump, Jared Kushner, gli americani hanno intenzione di portare sul tavolo grandi investimenti per mettere fine a uno dei conflitti più lunghi della storia moderna. Un’autostrada sopraelevata che colleghi Gaza alla West Bank, un nuovo aeroporto e fabbriche che saranno costruite sui terreni ceduti dall’Egitto alla Striscia, riapertura dei confini di tutte le entità palestinesi con Israele, compresa Gaza, per favorire i commerci e Gerusalemme capitale di entrambi i nuovi Stati. Ma a destare perplessità sono alcune delle richieste che Washington avanza nei confronti di Anp e Hamas: assimilazione delle colonie in territorio palestinese con piccole aggiunte, disarmo degli islamisti che governano la Striscia, nessun esercito palestinese.

Tra i provvedimenti principali contenuti nella bozza, simile a quella diffusa domenica da Israel Hayom, quotidiano vicino al governo di Tel Aviv e all’amministrazione americana, i provvedimenti economicamente più importanti sono quelli che riguardano il rilancio della Striscia, sia da un punto di vista commerciale che infrastrutturale. La grande opera ipotizzata consiste in un’autostrada sopraelevata che metta in contatto Gaza con il resto della Palestina, così da interrompere un blocco che sta strozzando la popolazione tra fame, malattie e sovrappopolazione che sarebbe accelerato anche dall’apertura di tutti i confini tra Israele e i territori palestinesi. I soldi per l’opera arriveranno da diversi Paesi, soprattutto la Cina che la costruirà e finanzierà per il 50%. A questo vanno aggiunti anche la costruzione di fabbriche e di un aeroporto nei territori che l’Egitto cederà a Gaza, così da rilanciare i trasporti, l’economia e il commercio da e per la Striscia.

Se detta così sembra un’offerta irrinunciabile, il gruppo fondamentalista che controlla la lingua di terra costiera, in caso di ufficializzazione, potrebbe essere il primo ostacolo alla firma a tre con Anp e Israele. Questo perché la sua sopravvivenza si basa molto sullo scontro muro contro muro con Tel Aviv, l’oppressore del popolo palestinese, secondo i messaggi lanciati dalle bandiere verdi. Una riapertura dei confini, dei commerci, la fine del blocco su Gaza toglierebbe senso alla resistenza delle Brigate al-Qassam e di altri gruppi estremisti nella Striscia, come la Jihad Islamica.

Oltre a questo, le condizioni imposte da Usa e Israele sono difficilmente digeribili per gran parte della popolazione palestinese: la valle del Giordano rimarrà sotto controllo israeliano, gli insediamenti dello Stato ebraico in terra palestinese verranno annessi da Tel Aviv con anche delle piccole aggiunte, la “Nuova Palestina” non avrà un esercito, ma una polizia con armi leggere, e potrà firmare un accordo con Israele che si impegnerà a garantire la sicurezza dei vicini dagli attacchi esterni in cambio di un pagamento.

A questi, vanno aggiunti la conferma di Gerusalemme come città non divisa, capitale di entrambi gli Stati, con i servizi della città che continueranno ad essere gestiti dal Comune, tranne che per quelli scolastici che per i palestinesi saranno gestiti dal governo di Ramallah. La gestione dei luoghi sacri rimarrà invariata.

Una volta ufficializzato il piano, starà alle tre realtà coinvolte ratificarlo. E a chi non lo farà potrebbe essere ritirato il supporto economico. “Se l’Autorità Nazionale Palestinese – si legge – accetterà l’accordo, mentre Hamas e la Jihad Islamica lo rifiuteranno, gli Usa toglieranno ogni supporto finanziario e appoggeranno le operazioni per punirli. Se Israele si opporrà, perderà tutti gli aiuti economici”.

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