Quando Elisa comincia a rispondere alle domande per l’intervista, mette subito in chiaro una cosa: “No, non mi va di essere retorica, di passare come quella che è andata all’estero e ora critica il suo Paese. È solo che qui mi trovo bene, sono un’emigrante per scelta e non solo per necessità, e la mia ricerca è libera. Il problema più grande, se me lo chiedi, è proprio questo: in Italia si investe veramente poco nella ricerca; senza contare gli stipendi bassi e in aggiunta la progressione nella carriera universitaria, non sempre basata sul merito”. Elisa Vergari ha 33 anni e viene da un piccolo paesino nella provincia di Pesaro, Piandimeleto. Dalla sua frazione che ha meno di 100 abitanti è riuscita a ottenere un dottorato a Oxford, passando prima per la Germania poi per il Canada. Il suo ultimo studio è stato pubblicato su Nature Communications.

Dopo la triennale in Biotecnologie a Urbino Elisa ha cominciato a cercare una posizione di ricerca all’estero: “Ho letto e appreso che in Germania il cosiddetto ‘NebenJob’ (lavori per studenti, ndr) era retribuito, a differenza dell’Italia: sarei riuscita a pagarmi i miei studi e a non dover più dipendere dai miei genitori”, racconta. Così ha fatto un biglietto di sola andata per Amburgo: “Ho ottenuto una borsa di studio Erasmus Placement per andare a fare un tirocinio alla Sigma-Aldrich, una famosa multinazionale nel settore delle Life Sciences”.

Elisa arriva in Germania senza conoscere il tedesco. “Il mio mentore alla Sigma, Michael, mi ha accolta con un fantastico benvenuto, spiegando per dettaglio quali sarebbero state le mie mansioni. Abbiamo fatto un giro per la città, poi sono stata presentata al resto del team”. Elisa frequenta corsi serali e, intanto, cerca di cavarsela con l’inglese. “La voglia di restare era tanta”. Mentre è impegnata ancora col suo tirocinio ad Amburgo riceve un’offerta dalla Technische Universität Dresden, affiliata con il famoso Max Planck Institute, per fare un Master in Molecular Bioengineering. “Un sogno che diventava realtà: ho accettato immediatamente”. Da lì, il passo definitivo ad Oxford, per un dottorato in fisiologia e scienze della vita.

La borsa di dottorato che mi ha offerto il Wellcome Trust copriva tutte le spese per la mia ricerca, tasse universitarie incluse. E lo stipendio è buono

Anche in Inghilterra l’accoglienza è positiva. “La borsa di dottorato che mi ha offerto il Wellcome Trust copriva tutte le spese per la mia ricerca, tasse universitarie incluse (che in Inghilterra sono abbastanza alte) garantendo uno stipendio soddisfacente”. La giornata tipo? “Quando si pensa a un ricercatore si immagina immediatamente il camice bianco, occhiali protettivi e guanti – spiega Elisa –. La mia è molto variegata, ed è forse proprio questo l’aspetto più interessante”. Si può passare dagli esperimenti alla formulazione delle ipotesi (che possono poi essere confermate o confutate), dalla supervisione degli studenti all’ordine dei materiali, dai corsi di formazione ai meeting, dagli articoli alle tesi.

Differenze? È inutile ribadire che ci siano dei vantaggi dal punto di vista economico. Elisa precisa che ha avuto una sola esperienza lavorativa in Italia, ma una cosa è certa: “Nel mio laboratorio italiano al tempo della mia tesi di laurea sperimentale triennale non c’erano molti fondi, per cui si era molto limitati negli approcci sperimentali, perché certi composti chimici erano troppo costosi e certi esperimenti non li potevamo fare. Sia in Germania che in Inghilterra non ho mai avuto di questi problemi quindi la mia ricerca era, per così dire, più libera”.

La difficoltà più grande finora è stata la lontananza dalla famiglia, oltre al fatto di imparare nuove lingue. Elisa, però, vede il suo futuro ancora all’estero: “Spero di tornare, un giorno? No. La mia scelta di rimanere a vivere e lavorare all’estero è una decisione personale perché mi sento più soddisfatta e non solo per il vantaggio economico”. E poi “anche all’estero non mancano problemi e, soprattutto, anche ricercatori inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli, svedesi passano periodi di ricerche in altri Paesi. Fa parte del mestiere”.

Il suo studio fatto in collaborazione con i colleghi dell’Università di Oxford e pubblicato su Nature Communications potrebbe “migliorare, se non salvare la vita delle migliaia di pazienti diabetici sottoposti al trattamento di insulina”. Il momento più bello rimane però l’incontro con sua mamma dopo un anno di separazione: lei era stata in Canada per preparare la sua tesi di master, la mamma non era mai stata all’estero prima: “Insomma, questi figli emigranti – conclude Elisa – a volte sono una buona scusa per far viaggiare i genitori”.

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