Scoperta raccapricciante in un capannone in provincia di Trento. Una accanto all’altra erano accatastate 27 bare, mentre in alcuni sacchi c’erano i resti di corpi umani, pronti a essere cremati. L’allarme è stato dato da alcuni dipendenti di un’azienda vicina, a causa dei forti odori che uscivano dal manufatto industriale in località Scurelle, nell’Alta Valsugana. Sul posto si sono recati i carabinieri del Noe, per cercare di capire che cosa ci facessero le bare e, soprattutto, i cadaveri in quel luogo. La responsabilità è di una cooperativa sociale che aveva l’incarico di trasportare i corpi in un forno crematorio per l’incenerimento. Ma i cadaveri sarebbero stati parcheggiati a Scurelle. Secondo quando emerso dalla documentazione sequestrata, negli ultimi mesi quello potrebbe essere stato un deposito temporaneo di almeno trecento salme. Ma perché? Secondo quanto è stato accertato dai carabinieri, le salme venivano tolte dalle bare e infilate in sacchi di nylon. I sacchi venivano chiusi in scatole di cartone poi avviate ai crematori.

Alcune casse in legno e zinco erano già state smembrate, separando il materiale metallico, prima dello smaltimento in centri della zona. L’operazione aveva un tornaconto economico, visto che i costi di cremazione risultavano ridotti di circa 400 euro per ogni salma. La Procura della Repubblica di Trento ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di vilipendio di cadavere e gestione illecita di rifiuti. Il capannone è stato sequestrato.

Il primo intervento è stato effettuato dalla Polizia locale che è entrata nei locali apparentemente abbandonati. Poi è stato chiamato il personale dell’Ufficio di Igiene e Sanità pubblica provinciale, mentre i carabinieri della compagnia di Borgo Valsugana hanno cominciato a interrogare i testimoni. Le bare contenenti spoglie con defunti erano 24, mentre tre casse in zinco erano aperte sul pavimento. Si tratta ora di capire da dove provengono le bare, perché in qualche caso potrebbero essere state tumulate parecchio tempo fa. Si fa quindi strada l’ipotesi che l’operazione servisse anche a recuperare lo zinco per rivenderlo.

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