Esponenti di vertice della cosca Mancuso, egemone nel Vibonese, sono stati arrestati dalla polizia di Vibo Valentia e dagli uomini dello Sco perché ritenuti responsabili l’omicidio di Raffaele Fiamingo e il tentato omicidio di Francesco Mancuso, considerati tra i capi della locale di ‘ndrangheta. Uno dei quattro arresti, Antonio Pronestì, è stato eseguito a Milano, mentre gli altri tre in a Tropea e Zungri. Perquisizioni anche in provincia di Prato.

Dalle indagini della Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri, supportate anche da dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, è emerso che l’omicidio di Fiamingo, avvenuto a Spilinga nel luglio 2003, era maturato per contrasti nella gestione delle attività criminali tra i componenti della famiglia Mancuso, in particolare la fazione capeggiata da Ciccio Mancuso e quella guidata da Cosmo Mancuso. Una vera e propria faida, secondo la ricostruzione dei magistrati.

Tra le persone coinvolte nell’operazione della Polizia c’è proprio Cosmo Mancuso, 70 anni, considerato il capo del gruppo criminale, attualmente detenuto nel carcere di Prato. Con lui è stato arrestato anche Giuseppe Accorinti, 60 anni, il presunto affiliato alla ‘ndrangheta che il 5 agosto dello scorso anno, a Zungri, tentò di infilarsi tra i portatori della statua della “Madonna della Neve”, Santa patrona del centro del Vibonese.

A Tropea è invece stato bloccato dagli agenti dello Sco Salvatore Polito, 55 anni, considerato il “braccio armato” della famiglia e al vertice della cosca La Rosa, alleata con i Mancuso. I dettagli dell’operazione sono stati spiegati nel corso della conferenza stampa che si terrà alle ore 11 presso la questura di Vibo Valentia alla presenza del procuratore capo di Catanzaro Gratteri.

Per il magistrato calabrese, in carcere sono finiti “attori di primo piano di un clan che comanda il battito cardiaco di questo territorio. Sono tra i più importanti ‘ndranghetisti della Calabria”. Con l’inchiesta “Errore Fatale”, la Dda di Catanzaro ha fatto luce non solo sull’attentato in cui fu ucciso Raffaele Flamingo e fu ferito Ciccio Mancuso, scaturito da una richiesta di pagamento a una panetteria di cui era socio il fratello di Antonio Prenestì, detto “Mussu stortu” o “Yo-yo”. Fedelissimo del clan di Limbadi, e uomo di fiducia dei boss Luigi e Pantaleone “Luni” Mancuso,  Pronestì aveva chiesto e ottenuto l’autorizzazione da Cosmo Mancuso per uccidere il parente Ciccio “Tabacco” che, però, nell’agguato rimase solo ferito gravemente.

Gli inquirenti, quindi, sono riusciti a ricostruire non solo quella che definiscono la “causale immediata” (e cioè la richiesta di una tangente di due milioni al panificio “protetto” dagli altri boss), ma anche una “causale remota” che – scrive il gip Tiziana Macrì nell’ordinanza di custodia cautelare – “va ricondotta alla strategia di espansione che Francesco Mancuso stava tentando di attuare e ai conflitti tra le diverse articolazioni, per interferenze nella gestione degli affari illeciti”. In altre parole, “Tabacco” stava cercando di scalzare lo zio “Cosmo”. Frizioni tra cosche che i Mancuso fino ad allora non avevano mai risolto con aggressioni dirette alla vita di un familiare. “Una nuova forma di reazione – è il commento del gip – è stata sperimentata, per contrastare l’evoluzione di un’articolazione in grado di mettere a rischio non solo gli affari spiccioli di un gruppo, ma il prestigio criminale e le connesse possibilità di compiere ‘affari’ della consorteria intera”.

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