Oltre 3750 tonnellate di amianto, di cui il 95% risulta di matrice friabile, sono presenti all’interno dell’ex Ilva di Taranto. È la denuncia della Fiom Cgil, che ha evidenziato come “l’amianto rappresenti una grande criticità, sia in riferimento all’esposizione al rischio dei lavoratori sia in riferimento al rischio ambientale”. Per questo motivo il sindacato ha chiesto alla neonata commissione di lavoro del Ministero dell’Ambiente, guidata da Raffaele Guariniello, per la riforma normativa del settore amianto, di occuparsi anche del caso Taranto  trovando soluzioni rapide e condivise con le parti sociali per avviare il processo di bonifiche da amianto.

La commissione, secondo quanto riportato dal comunicato del ministro Sergio Costa, entro la fine di giugno dovrà procedere alla mappatura e predisporre le bonifiche dell’amianto presente in Italia. Nelle dichiarazioni del ministro si parla di oltre 32 milioni di tonnellate sul territorio nazionale, ma secondo la Fiom questa mappatura non includeva il materiale presente nello stabilimento siderurgico ionico. In una nota inviata alla stampa il sindacato metalmeccanici ha spiegato di aver già inviato ai ministeri competenti e agli enti ispettivi una relazione in cui si evidenziavano le criticità nel sito ionico. “La Fiom Cgil – si legge nella nota – ha inoltre più volte richiesto la necessità di conoscere non solo la mappatura ma anche il piano di bonifica, incluso il cronoprogramma, i tipi e lo stato di amianto, i procedimenti applicati per la bonifica, il numero e i dati anagrafici degli addetti, le caratteristiche degli eventuali prodotti contenenti amianto e le misure adottate e in via di adozione per la tutela della salute dei lavoratori e dell’ambiente e l’estensione dei benefici previdenziali da esposizione ad amianto per gli stessi dipendenti. Ad oggi tuttavia, nonostante i solleciti da parte della Fiom Cgil, non abbiamo ancora ricevuto un piano di smaltimento amianto da parte Arcelor Mittal”.

La situazione particolarmente critica sulla presenza di amianto in fabbrica, però, è emersa in tutta la sua drammatica nel processo penale che ha visto alla sbarra 25 imputati tra dirigenti vecchi e nuovi dello stabilimento siderurgico tarantino tra la gestione pubblica e quella della famiglia Riva. La vicenda riguardava la morte di 28 operai affetti da mesotelioma pleurico contratto per l’esposizione all’amianto presente nello stabilimento. In primo grado furono 27 le condanne tra le quali anche quella di Fabio Riva. In secondo grado, però, la corte d’appello ridusse a 3 le condanne. Ma al di là della responsabilità penale dei singoli imputati, l’inchiesta condotta dal pm Raffaele Graziano, fece emerge la criticità della situazione: “La tematica dell’amianto, pur profondamente conosciuta da tutti i vari ceti aziendali e quindi da tutti gli imputati, non ha mai superato il piano dell’oralità” scriveva nelle motivazioni il giudice Simone Orazio aggiungendo che nessun dirigente della vecchia gestione statale Italsider o della privata Ilva “ha mai adottato un provvedimento concreto volto a migliorare le condizioni di lavoro legate all’amianto”. Oggi la vicenda penale pende di fronte alla Cassazione, mentre all’interno della fabbrica la situazione non è affatto cambiata.

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