Alla fine, dopo una giornata di contestazioni e messaggi indignati, l’Accademia delle Scienze di Torino potrebbe rivedere i bandi di due borse di studio destinate a laureati italiani “figli di genitori italiani”, finanziate dall’eredità di un’anziana signora che aveva espresso quel desiderio. “Il Consiglio di Presidenza riesaminerà il caso, escludendo l’attuazione di ogni forma di discriminazione, indipendentemente dalle conseguenze pratiche per il finanziamento della ricerca che ciò possa comportare”, ha fatto sapere in serata l’istituzione fondata nel 1757 che vede tra i suoi soci illustri professori.

La polemica è scoppiata ieri, poco dopo la pubblicazione dei bandi per l’edizione 2019 avvenuta nei giorni in cui è tornata a dibattere sullo Ius soli e sulla possibilità di concedere la cittadinanza a Rami, il ragazzino che con la sua telefonata ha permesso ai carabinieri di salvare lui e gli altri ostaggi dello scuolabus a San Donato. Da dodici anni ogni anno l’Accademia assegna due borse di studio da cinquemila euro, quella intitolata ad Angiola Agostinelli Gili e destinata a una studentessa laureata in matematica, fisica o scienze naturali all’Università di Torino, e quella dedicata alla memoria di Ernesto e Ben Omega Petrazzini, rivolta a uno studente (maschio o femmina) laureato in ingegneria meccanica o aerospaziale al Politecnico. Tramite i social network si è diffusa la polemica che anima alcune organizzazioni universitarie. “Il ritorno del razzismo non turba il sonno dell’Accademia delle Scienze di Torino, che anzi bandisce una borsa al passo con i tempi (bui)”, era scritto sulla pagina Facebook del Coordinamento UniTo, che raggruppa studenti, ricercatori, professori e altre categorie. Il coordinamento sottolineava anche che per verificare il rispetto dei requisiti “ai candidati viene richiesta la presentazione dei certificati di nascita dei genitori”. Commenti negativi sono arrivati anche da Studenti Indipendenti, la lista più votata alle elezioni studentesche.

Dall’Accademia hanno spiegato la ragione di quel requisito: “Le borse sono alimentate dal lascito testamentario di una donna, Maria Luisa Petrazzini, che ha dettato degli indirizzi specifici”, aveva spiegato la direttrice e cancelliera dell’ente, Chiara Mancinelli, prima del comunicato col quale l’Accademia annunciava la possibilità di rivedere il bando. Tra questi indirizzi, oltre a indicare quale titolo di studio avrebbero dovuto avere i candidati, la signora Petrazzini aveva specificato anche le caratteristiche anagrafiche, quella dicitura “italiani figli di famiglie italiane”. “Sono dodici anni che esiste questa borsa di studio e il bando, che esce sempre in questo periodo, è sempre stato così – specifica Mancinelli -. Quando è deceduta la signora, nata negli anni Venti, non c’era ancora questo dibattito sulla cittadinanza”. Secondo lei, però, c’era poco da fare: “Dobbiamo dar corso alle volontà. L’accademia non poteva intervenire rispetto a questo paletto. È una discriminazione, ma non possiamo farci niente, altrimenti rischiamo di dover restituire le somme rimanenti e a quel punto nessuno potrà ambire a quelle borse di studio”.

“Non bisogna farne una battaglia razzista-antirazzista mettendo in croce un’istituzione di valore, ma è sconcertante che si inserisca l’origine dei genitori tra i criteri di valutazione di un individuo – spiegava nel pomeriggio di ieri il professore di storia contemporanea Bruno Maida -. Di recente l’Accademia ha organizzato degli incontri sulle leggi razziali, ha soci del valore di Gustavo Zagrebelsky e molti altri. Le risposte fornite non sono accettabili. Dovrebbero rifiutare le donazioni che non rispondono alle regole etiche della comunità scientifica. Mi aspetto un sussulto di dignità, riconoscano l’errore e lo correggano”. Una volta appresa la notizia, alcuni soci dell’Accademia (anche con ruoli di rilievo) avrebbero manifestato perplessità su quel bando discriminatorio che in futuro verrà riesaminato.

(immagine d’archivio)

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