“I gravi fatti non sembrano essere stati valutati correttamente” dal Tar del Lazio e quindi il Consiglio di Stato toglie di nuovo la poltrona di sindaco di Lamezia Terme a Paolo Mascaro che annuncia lo sciopero della fame. Dopo la sentenza del 22 febbraio scorso con cui il Tribunale amministrativo ha annullato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, non si è riusciti a convocare nemmeno il primo consiglio che i commissari prefettizi sono ritornati al palazzo comunale. Il Consiglio di Stato, infatti, ha congelato la sentenza di primo grado accogliendo la richiesta di sospensiva formulata dall’Avvocatura generale dello Stato.

In altre parole, il sindaco di Forza Italia del Comune sciolto per mafia nel novembre 2017 è ritornato di nuovo a casa perché secondo i giudici amministrativi di secondo grado “i gravi fatti posti a fondamento della misura dissolutoria, annullata dalla sentenza oggetto della impugnazione in esame, non sembrano essere stati correttamente valutati da detta sentenza nella loro natura sintomatica di una più che probabile ingerenza della ‘ndrangheta sulla vita politica e amministrativa dell’ente locale nel suo complesso, anche indipendentemente dall’appartenenza dei consiglieri eletti alla maggioranza o alla minoranza”.

Lo scioglimento (il terzo nella storia dell’amministrazione comunale calabrese), disposto su richiesta dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, poggiava le sue basi su una relazione della commissione d’accesso inviata al Comune di Lamezia Terme all’indomani dell’operazione “Crisalide” che aveva portato all’arresto di 52 appartenenti alla ‘ndrangheta. All’epoca era stato perquisito anche un consigliere sottoposto ai domiciliari e nel decreto di scioglimento del presidente della Repubblica c’era scritto che “fonti tecniche di prova hanno attestato come la campagna elettorale per il rinnovo degli organi elettivi sia stata caratterizzata da un’illecita acquisizione dei voti che ha riguardato, direttamente, o indirettamente, esponenti della maggioranza e della minoranza consiliare”.

In sostanza, secondo la commissione d’accesso ci sono state “cointeressenze, frequentazioni, rapporti a vario titolo tra numerosi esponenti sia dell’organo esecutivo che di quello consiliare con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata”. Rapporti che sarebbero stati sottovalutati dal Tar il quale, annullando lo scioglimento per mafia, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, “ha offerto una frammentaria e riduttiva analisi dei singoli accadimenti senza tenere conto dell’imprescindibile ambito locale e dei suoi rapporti con la gestione del territorio”.

Il rischio è che “il reinsediamento degli organi elettivi dell’ente – si legge sempre nel ricorso – rappresenti un grave vulnus sia all’attività di risanamento efficacemente intrapresa dalla commissione straordinaria sia alla credibilità delle istituzioni, minando ulteriormente le condizioni di vita della collettività locale già compromesse dalla radicata presenza della ‘ndrangheta su quel territorio”.

Tutto fermo, quindi, fino al prossimo 11 aprile quando inizierà la discussione nel merito davanti al Consiglio di Stato. La decisione di sospendere la sentenza del Tar e, quindi, far ritornare i commissari prefettizi al Comune di Lamezia Terme, non è stata presa bene dal sindaco Paolo Mascaro che ha iniziato lo sciopero della fame “con assunzione comunque – dice – di sole sostanze liquide”.

Il primo cittadino, defenestrato per la seconda volta in poco più di un anno, ha affidato a Facebook il suo sfogo: “Di fronte ad eventi irragionevoli ed inspiegabili – scrive – si può reagire in tanti modi: arrendendosi, ignorandoli, contrastandoli. Oggi una comunità è attonita, umiliata, incredula. Ed oggi vi è la necessità assoluta che non passi tutto sotto silenzio: è ciò che vuole il marcio che è penetrato capillarmente nel sistema. Bisogna lottare, in una battaglia di civiltà e democrazia. Occorre lottare contro una legge ingiusta che massacra la democrazia attribuendo a pochi untori la capacità di distruggere la volontà popolare”.

Mascaro si rivolge anche ai parlamentari lametini affinché intervengano immediatamente su una legge “che oggi nella sua applicazione concreta non è più tutela dei territori dalle infiltrazioni criminali ma occasione di guadagni e di carriere”. Il primo cittadino non spiega, però, chi ci guadagnerebbe o farebbe carriera sulle spalle della città calabrese. Tuttavia c’è chi tende la mano al sindaco sciolto per mafia. È il deputato della Lega Domenico Furgiuele secondo cui “non si può giocare con i cittadini di Lamezia Terme. Il cortocircuito istituzionale e, al tempo stesso giudiziario, che la vicenda comunale sta determinando è certamente uno schiaffo alla città, ma essa rappresenta anche una perdita di credibilità dello Stato”.

Anche lui citato nella relazione della commissione d’accesso perché cognato di un candidato con il quale condivide il suocero imprenditore Salvatore Mazzei (quest’ultimo condannato per reati di mafia), Furgiuele parla di “mancanza di buon senso e di misura” e si dice “attonito e amareggiato per la rapidità con cui è stata chiesta e ottenuta la sospensiva di una sentenza”. Il deputato fa di più e, rispondendo all’appello di Mascaro, promette di porre “con forza all’attenzione dell’agenda politica” della Lega la “necessità di mettere mano, già entro la primavera, ad una legge, quella sugli scioglimenti comunali, che è pericolosa per le comunità locali”.

“Sarà mio compito – conclude il salviniano calabrese – esigere chiarezza nelle forme e nei modi previsti dall’ufficio che rivesto. Esigerò, anche perché ho da tempo impegnato le strutture ministeriali competenti, risposte statali alla domanda di rafforzare una macchina comunale bisognosa di impulso e anche di bonifica ai danni di chi crede di poterla tenere ostaggio della politica della paralisi o peggio dell’orticello”.

Così come il sindaco Paolo Mascaro, anche Furgiuele non fa nomi ma si limita a contestare il ritorno dei commissari prefettizi al Comume di Lamezia Terme. Quello che, però, dimentica il deputato della Lega è che la richiesta di sospensiva della sentenza del Tar è stata presentata dall’Avvocatura generale dello Stato per conto anche del ministro dell’Interno Matteo Salvini, leader del suo partito.

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