Continua da qui

In questa terza parte del lungo articolo inteso soprattutto a condannare l’esosità del capitalismo americano, cioè i cosiddetti poteri forti che ormai condizionano pesantemente tutta la politica sociale ed economica non solo a livello nazionale ma anche a livello globale chiamando in causa anche il premio Nobel Stiglitz per quanto ha scritto nel suo recentissimo articolo dove nella conclusione denuncia persino che “la disputa, come sempre, è politica. Ma con l’immenso potere guadagnato attualmente dalle grandi corporazioni americane, c’è ragione di dubitare che il sistema politico americano sia all’altezza di guidare le necessarie riforme. Aggiungete a questo la dimensione globale guadagnata dal potere delle multinazionali insieme all’orgia delle deregolamentazioni e allo strettissimo legame tra capitalisti fornito dal presidente Trump, e diventerà chiaro che toccherà all’Europa assumere il comando”.

Incredibilmente è quindi proprio uno dei più illustri economisti americani a dirci che con questo sistema e con questo presidente, solo l’Europa in questa fase può ancora avere le capacità necessarie per mettersi alla guida delle maggiori democrazie del mondo. Il come ce lo dice il settimanale Bloomberg Businessweek nell’articolo “How to fix American Capitalism” nel quale i politici americani  presentano le loro “linee guida” politiche per la già avviata campagna per le presidenziali del prossimo anno. Nel gruppo, definito “Antitrust Pivot”, emerge la senatrice Elizabeth Warren, già stretta collaboratrice di Obama. Questi candidati evidenziano in particolare la necessità di rafforzare il controllo dell’antitrust aggiungendo a questo ufficio anche le funzioni di difesa dei consumatori (ufficio abolito da Trump).

Una seconda “linea”, definita “Supply Side Economics” crede ancora alla … “befana”, cioè alla possibilità di moltiplicare lo stimolo dato dalla riduzione delle tasse come caposaldo per il benessere generale. E’ una linea ampiamente sostenuta dai congressisti repubblicani, con il sostegno sporadico di qualche democratico.

Un terzo gruppo (nel quale figura però anche la Warren) definito “German Model” si ispira al modello tedesco di inserimento di rappresentanti dei lavoratori nel Consiglio di Amministrazione delle loro imprese. Si tratta di una possibilità limitata però alle grandi aziende. C’è chi privilegia invece lo sviluppo tecnologico nel “Tech to the rescue” dove si presume che tutti i problemi, anche sociali, possono essere risolti attraverso sistema educativo totalizzante, capace di dare a tutti le opportunità necessarie anche in un mondo ad alta tecnologia. Questo gruppo si divide in autarchici e globalisti.

Gli autarchici fanno parte anche dei “Tariff Truthers” coloro che stanno chiaramente al fianco di Trump nel sostenere la necessità di tornare alla politica dei dazi per proteggere il mercato nazionale del lavoro (già applicata però da Trump con risultati spesso simili al boomerang).

Ci sono poi i “Libertarianism”, sostanzialmente quelli che (anche dopo il disastro del 2008) continuano a credere nella libertà di autocorrezione dei mercati. E’ il chiodo fisso dei repubblicani (Reagan diceva che i problemi veri non erano quelli che il governo trovava, ma quelli che il governo creava).

Ho lasciato per ultimo il gruppo che si riconosce nel “Modern Monetary Theory” (quasi tutti democratici) perché è il più rivoluzionario di tutti come filosofia economica e perché ha come prim’attore (anzi, attrice) quella Alexandria Ocasio-Cortez che è il più interessante fenomeno politico “partorito” dai democratici. Benché la “Moderna Teoria Monetaria” (MMT in breve) sia già vecchia di una decina d’anni, essa contiene requisiti già operativi in passato che vengono oggi rivisitati come necessari per restituire equità ad un sistema capitalista che arraffa tutti i proventi della modernità senza distribuirli con equità. Tra questi c’è il ritorno ad una tassazione molto alta (fino all’80% come ai tempi pre-Nixon) e la cancellazione del tetto di bilancio. La teoria sarebbe che chi dispone di una propria moneta (per gli Usa è il dollaro) può stamparne finché vuole per pagare gli investimenti sia sul piano infrastrutturale che su quello sociale fintanto che cio’ non genera alta inflazione. Ovviamente questa teoria è altamente contestata, ma trova facilmente seguaci disposti a crederla risolutiva dei molti problemi che una amministrazione deve risolvere. Tra le iniziative degne di nota di questo gruppo ci sono però anche l’impegno a creare permanentemente lavoro per tutti e l’adozione di un piano “verde” per la riconversione totale alle energie rinnovabili.

In conclusione, considerando che il decisionismo di Trump ha risvegliato in America un socialismo dato per morto in quasi tutto il resto del mondo, è al contrario in forte ripresa proprio negli Usa, ed è tutt’altro che velleitario a questo punto. Si può quindi affermare che Trump ha infilato la locomotiva capitalista in un binario morto.

TRUMP POWER

di Furio Colombo 12€ Acquista
Articolo Precedente

Re di Giordania cancella la visita in Romania dopo l’annuncio del riconoscimento di Gerusalemme capitale

next
Articolo Successivo

Le Mans, violenti scontri tra giostrai e forze dell’ordine: la polizia spara i lacrimogeni dall’alto sulla piazza. Le immagini

next