Saipem non ha comunicato informazioni rilevanti sul suo stato di salute nel prospetto sull’aumento di capitale da 3,5 miliardi del 2015. Operazione che ha contato tra gli investitori anche il Fondo strategico italiano della Cassa Depositi e Prestiti. La Consob, politica permettendo, se n’è accorta e, al termine di un lungo procedimento, ha finito col multare l’allora direttore finanziario di Saipem, Alberto Maria Chiarini e l’amministratore delegato, Stefano Cao, che ha ottenuto il rinnovo dell’incarico nel maggio scorso. I due manager dovranno pagare un totale di 350mila euro. L’autorità di vigilanza dei mercati finanziari ha bastonato poi anche Saipem, che giusto poco prima di quella ricapitalizzazione è passata sotto il controllo della Cassa Depositi e Prestiti (12,5%) oltre che del Tesoro attraverso l’Eni (30,42%): la società guidata da Cao dovrà pagare altri 350mila euro.

Per le casse pubbliche, qualunque sia l’epilogo della storia (il ricorso è già nell’aria), il saldo dell’intera operazione sarà negativo: le indagini della Consob sono costate tempo e denaro e le multe sono tutto sommato esigue rispetto alla violazione. In più c’è da scommettere che società e manager faranno appello e alla fine salirà anche il conto della parcella legale. Ma soprattutto c’è il costo per il mercato, fatto da piccoli risparmiatori, grandi investitori che operano per anche per conto di fondi pensione e compagnie assicurative, oltre ai contribuenti per il danno alla Cdp, che ha saputo male e in ritardo di aver pagato a prezzo pieno un prodotto difettato, per tradurre in parole povere quanto riferisce il bollettino Consob appena pubblicato.

Secondo quanto riferisce la Commissione, infatti, Saipem “ha omesso di riportare nella Documentazione d’offerta le reali stime di chiusura dell’esercizio 2015; le reali prospettive del Gruppo, diverse da quelle riportate nel Piano Strategico 2016–2019, ossia la sussistenza di incertezze particolarmente rilevanti afferenti alle assunzioni sottostanti al Piano, ulteriori rispetto a quelle rappresentate nella Documentazione d’offerta, alla luce del significativo deterioramento della situazione aziendale di Saipem nonché del contesto competitivo e di mercato; il reale fabbisogno finanziario di Saipem per i dodici mesi successivi alla data del Prospetto”.

Non si tratta di questioni da poco, visto che le cifre sarebbero dovute servire al mercato per valutare la sottoscrizione della ricapitalizzazione da ben 3,5 miliardi con un’operazione deliberata a dicembre del 2015, che è stata pagata da chi non ne conosceva gli effetti collaterali. “Tali omissioni informative hanno privato gli investitori di informazioni necessarie affinché potessero pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive di Saipem”, spiega il bollettino Consob che precisa poi come, la società abbia fornito anche, “nel corso dell’istruttoria di approvazione della Documentazione d’offerta, informazioni non veritiere o quantomeno lacunose, con note del 30 dicembre 2015, 15 gennaio e 10 febbraio 2016 in riscontro ad altrettante puntuali richieste formulate dalla Consob”.

L’unica magra consolazione sta nel fatto che chi investì nella ricapitalizzazione, non ha perso soldi. Chi invece ci ha rimesso è stato il Fondo Strategico Italiano, controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti. Poco prima dell’aumento, ha comprato il 12,5% di Saipem dall’Eni sborsando la stratosferica cifra di 463 milioni. Il Fondo, che attinge al denaro della cassaforte postale degli italiani, comprò le azioni ad un prezzo compreso fra 7,40 e 8,83 euro. Oggi il titolo vale circa 4,9 euro. Così, considerate anche le informazioni “non veritiere rilasciate dai manager al momento della ricapitalizzazione”, le casse pubbliche sono state beffate due volte: una prima dell’aumento con il Fondo strategico che ha messo una pezza a colore agli errori del management, la seconda con la multa spuntata della Consob che ha sanzionato anche la società pubblica. Come se non bastasse la crisi di Saipem non si può ancora dire archiviata: “il 2019 sarà un po’ un anno di transizione”, ha dichiarato il presidente Francesco Caio, manager voluto alle Poste da Matteo Renzi e arrivato a maggio scorso ai vertici di Saipem. I risultati realizzati dall’ad multato, Cao, migliorano, ma i debiti e le perdite sono sempre là: il gruppo ha chiuso il 2018 in rosso per 472 milioni dovuti in parte alla riorganizzazione (123 milioni) e i debiti sfiorano 1,2 miliardi.

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