Quando si parla di stampanti, siamo abituati a pensare alle macchine che riproducono lettere e immagini sui fogli di carta, o al massimo ai prodotti 3D che realizzano modellini in plastica. In realtà esistono molti altri tipi di stampanti. Il caso avveniristico di cui vi parliamo oggi è quello di una bio stampante. Gli elementi innovativi sono tantissimi, a partire dal fatto che al posto dell’inchiostro ci sono cellule di pazienti che devono curare ferite profonde o ustioni estese.

L’idea di costruire una bio stampante è del professor Sean Murphy, specialista in medicina rigenerativa e ingegneria biomedica, e dei colleghi del Wake Forest Institute for Regenerative Medicine (WFIRM). In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature hanno presentato il proof-of-concept (una prova di fattibilità, quindi un progetto in fase iniziale) di un sistema mobile capace di stampare tessuti umani. L’idea fa fronte a un’esigenza ben precisa, e per niente rara: curare ferite profonde, ustioni diffuse, piaghe da decubito, ulcere da diabete, eccetera. Semplificando, in questi casi il tessuto morto o mancante dev’essere spesso sostituito con lembi di tessuti sani prelevati da altre parti del corpo del paziente.

Il professor Murphy da anni lavora alle potenzialità della stampa 3D applicata alla medicina rigenerativa e ha messo a frutto l’esperienza accumulata per ideare una macchina mobile. Quello che propone è di effettuare sui pazienti una piccola biopsia per prelevare tessuto cutaneo non lesionato. Dal tessuto prelevato si ricavano cheratinociti (cellule presenti nell’epidermide) e fibroblasti (cellule tipiche del tessuto connettivo). Questo materiale biologico viene poi mescolato con idrogel e altre sostanze e applicato sulla ferita mediante la bio stampante. Perché non stenderlo manualmente? Perché una bio stampante potrebbe posizionare le cellule con estrema precisione, anche su più strati, appoggiandosi ad apposite tecnologie di imaging che rilevano accuratamente la struttura cutanea a strati. Il risultato, secondo gli studiosi, sarebbe una struttura cutanea e una composizione simile alla pelle sana.

Come sarebbe, da vedersi, questa stampante? Dovrebbe essere composta da uno scanner e da un erogatore in grado di muoversi su tre assi (X, Y e Z) e contenente otto ugelli da 260 μm (micrometri) di diametro, ciascuno azionato da un motore indipendente. Le dimensioni complessive sarebbero di 79 x 77 cm, più un braccio estensibile di altri 50 cm. Lo scanner serve per fotografare l’intera ferita in un’unica scansione continua e generare (tramite il computer) un modello 1:1 dell’area da curare. Il software movimenta poi le testine di stampa sui tre assi per depositare sulla ferita l’esatta quantità di tessuto in larghezza, altezza e profondità. Per curiosità, il sistema di erogazione sarebbe basato su cartucce (una per ciascun tipo di cellula) e sarebbe simile a quello utilizzato nella stampa tradizionale a getto d’inchiostro.

Per ora, come accennato, si tratta di un progetto che esiste solo sulla carta. È perfetto però per dare l’idea delle possibilità ancora inesplorate che si celano dietro a uno strumento apparentemente semplice e nazional popolare, come una stampante a getto d’inchiostro. E di come potrebbero cambiarci la vita in meglio quelle che per ora sono solo opportunità.

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