Il Metropol Hotel di Hanoi si svuota dopo la fumata nera arrivata dal vertice tra Donald Trump e Kim Jong Un. Il tavolo bianco preparato per il pranzo, che avrebbe dovuto precedere qualche accordo storico tra Stati Uniti e Corea del Nord, è rimasto vuoto. “No agreement” fanno sapere dalla Casa Bianca, e il summit si interrompe bruscamente quando in Italia sono circa le 7 del mattino di giovedì 28 febbraio. Stando alle fonti americane, il meeting si sarebbe incagliato sul tema delle sanzioni. La Corea del Nord avrebbe chiesto la loro completa e istantanea rimozione in cambio della chiusura del reattore nucleare di Yongbyon. Niente da fare per Washington, che non solo non aveva intenzione di rimuovere le sanzioni, ma esigeva anche la totale denuclearizzazione dello Stato nordcoreano.

La versione americana è stata smontata più tardi dal Ministro degli Esteri nordcoreano, Ri Yong Ho, in una rara conferenza stampa. Secondo Ri, la Corea del Nord non avrebbe ma chiesto la rimozione completa di tutte le sanzioni, ma solo di quelle emanate nel 2016 e 2017. In termini concreti si tratterebbe di cinque delle 11 risoluzioni decretate dalle Nazioni Unite contro il Paese. In cambio, Kim avrebbe offerto la chiusura del sito nucleare di Yongbyon – l’unico in cui Pyongyang produce plutonio ma non l’unico in cui arricchisce l’uranio – come primo passo di un percorso reciproco e graduale. Il Ministro avverte che la posizione nordcoreana non cambierà mai e che gli Stati Uniti potrebbero aver perso un’occasione irripetibile dato lo scoraggiamento dimostrato da Kim davanti alla irragionevolezza americana.

Non tutto però è perduto. Trump ha dichiarato che i rapporti con la Corea del Nord non saranno interrotti. The Donald ha inoltre rimarcato in maniera quasi ossessiva il grado confidenziale ormai raggiunto con “l’amico Kim”, l’unico vero punto di forza dell’inquilino della Casa Bianca. Resta da capire se la fumata nera è arrivata per colpa dei diretti interessati, ovvero Trump e Kim, o di qualcun altro non favorevole a un accordo. Per quanto riguarda gli Stati Uniti è noto come l’establishment statunitense sia dilaniato da fazioni interne. È inoltre risaputo che Trump ragiona spesso per conto suo, andando contro corrente e mettendo in imbarazzo il resto del governo. Fosse per il Presidente americano, probabilmente, l’accordo con Kim ci sarebbe già da un pezzo, magari per fini più personali che non istituzionali. Ma come giustificarsi di fronte ai “falchi” della Casa Bianca? Ma soprattutto, come evitare pericolose ritorsioni vista la precaria situazione in materia di politica interna? Meglio posticipare il nobel per la Pace piuttosto che rischiare l’ennesimo scandalo nel cortile di casa. Il canale resta tuttavia aperto, e pare che il leader nordcoreano abbia promesso di non effettuare ulteriori test nucleari. Per una pace di carta può bastare.

Dall’altra parte Kim Jong Un torna a casa da vincitore assoluto. Davanti ai suoi può dirsi fiero di non aver ceduto neanche un millimetro di fronte alle richieste americane. Inoltre né suo padre né suo nonno erano mai stati ricevuti due volte da un Presidente americano e trattati da pari a pari. La legittimità di Kim è salita alle stelle per colpa della vanità di Trump, più desideroso di apparire agli occhi del mondo come amico dell’ex “uomo razzo” che non pronto a firmare un accordo diplomatico. Attenzione però anche alle beghe interne cui deve far fronte il leader di Pyongyang. Pare che già dopo il primo vertice di Singapore con Trump più di un quadro militare avesse storto la bocca di fronte all’eventuale rinuncia all’atomica. L’esercito, evidentemente, ha paura di un accordo che lo andrebbe a penalizzare in termini di potere. Ma Kim è riuscito a trasformare anche questo ostacolo in un punto di forza.

Adesso sarà interessante capire cosa succederà nei prossimi mesi. Che si sappia, Washington non ha proposto alternative realistiche alla legittima posizione tenuta da Pyongyang di fronte al disarmo completo e immediato. Ora, per sbloccare la situazione, potrebbe essere arrivato il momento di includere nei negoziati anche Pechino e Seul. Uno scenario plausibile vedrebbe Kim Jong Un accettare una denuclearizzazione “completa” in cambio dell’annullamento di tutte le sanzioni, mentre Xi Jinping e Moon Jae-in potrebbero invece garantire sostegno militare ed economico a Pyongyang, qualora Washington non mantenesse i patti. In questo modo tutti avrebbero qualcosa da guadagnare e nulla da perdere. Ma la diplomazia ha i suoi tempi.

di China Files per ilfattoquotidiano.it

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