L’obbligo di accettare un’offerta di lavoro scatterà solo se il salario sarà di almeno 858 euro al mese. Lo prevede un emendamento a prima firma Matrisciano (M5s) al decretone approvato dalla commissione Lavoro del Senato in attesa che il provvedimento arrivi in Aula lunedì 25. Intanto anche il governo ha preparato un pacchetto di emendamenti per l’aula: uno di questi, per recepire le osservazioni del Garante della privacy, prevede che lo Stato potrà monitorare “i soli importi complessivamente spesi e prelevati” dalla carta per il reddito. La versione attuale del testo prevede invece che lo Stato possa verificare il dettaglio delle singole spese effettuate con la Carta. Un altro emendamento del governo allarga da 5 a 10 anni la rateizzazione per chi aderisce alla “pace contributiva”.

L’intervento che fissa un limite minimo allo stipendio da accettare se si è percettori del beneficio precisa che l’offerta di lavoro sarà ritenute congrua se la retribuzione è “superiore di almeno il 10 per cento rispetto al beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazioni in locazione”. Il beneficio massimo per un singolo come è noto è di 780 euro, 500 a integrazione del reddito e 280 per l’affitto. L’emendamento aggiunge una frase all’articolo 25 del decreto legislativo 14 settembre 2015, il provvedimento attuativo del Jobs act che contiene tra il resto la definizione di “offerta di lavoro congrua”.

La modifica arriva dopo il dibattito innescato dalle osservazioni di Confindustria che aveva lamentato come la misura simbolo del Movimento 5 Stelle rischiasse di scoraggiare un single dal cercare un impiego, considerando che in Italia lo stipendio mediano dei giovani under 30 al primo impiego si attesta sugli 830 euro netti al mese. La differenza tra reddito e stipendio sarebbe troppo piccola, secondo viale dell’Astronomia, per convincere un disoccupato percettore del reddito ad andare a lavorare, anche se il decreto prevede paletti che vietano ad esempio di rifiutare più di tre offerte “congrue”, con la prima considerata congrua se il posto non dista più di 100 chilometri da casa e la terza anche se comporta la necessità di trasferirsi. A sostenere che il sussidio potesse avere un effetto disincentivante era stato anche l’ormai ex presidente Inps Tito Boeri che aveva ricordato come quasi il 45% dei dipendenti privati del Sud ha “redditi da lavoro netti inferiori a quelli garantiti dal Rdc a un individuo che dichiari di avere un reddito uguale a zero”. Secondo l’Inps il 30% dei percettori del Rdc riceverà un trasferimento uguale o superiore a 9.360 euro netti mentre il valore mediano sarà di 6.000 euro.

Un’altra modifica al decretone approvata giovedì prevede che salga da 30mila a 45mila euro l’anticipo del Tfs agli statali, per i trattamenti che non siano di importo inferiore.
Novità anche sui fronti della pace fiscale e di quota 100. Nel pacchetto di emendamenti presentato dal governo, infatti, è previsto un termine di dieci anni, con 120 rate mensili, la “pace contributiva”. Il testo prevedeva nel triennio 2019-21 la possibilità di coprire buchi contributivi di massimo 5 anni, saldando con un massimo di 60 rate: ora l’esecutivo propone di raddoppiare tempi e rate. Nella relazione che accompagna l’emendamento si stimano 2900 domande di “pace contributiva” da lavoratori dipendenti e circa 600 da lavoratori autonomi, con stipendio medio di 31.500 e 20.000 euro. Per quanto riguarda gli anticipi pensionistici, invece, il governo ha predisposto un emendamento al decretone che prevede altre assunzioni in deroga negli uffici giudiziari – a rischio svuotamento – oltre a quelle già previste con la manovra. Le assunzioni si potranno fare, almeno per 1.300 amministrativi, già a partire da metà luglio in deroga al blocco delle assunzioni nella P.a. fino a novembre previsto con la legge di Bilancio. Il buco di organico in tre anni, si legge nella relazione, è di circa 20mila posti tra uscite già previste e le nuove con quota 100.

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