A poco più di sei mesi dal crollo del ponte Morandi, nelle indagini della procura di Genova spunta un testimone chiave che rischia di mettere in crisi la strategia difensiva di Autostrade. È Martin Kucera, camionista ceco 46enne, autotrasportatore sopravvissuto al disastro. Alle 11.36 del 14 agosto, Kucera guidava il proprio mezzo pochi metri dietro al camion da cui sarebbe caduto il “coil” di acciaio semilavorato – una bobina dal peso di 3,5 tonnellate – indicato da alcuni esperti quale causa del collasso della struttura. Causa proposta in alternativa a quella ipotizzata dagli inquirenti, cioè il cedimento degli stralli per mancata manutenzione imputabile alla concessionaria. Precipitato insieme all’asfalto, l’autista ceco si era salvato nonostante un volo di 45 metri, cavandosela con quattro costole rotte e una frattura al setto nasale e venendo dimesso appena sette giorni dopo, il 21 agosto. Tornato in patria, ha raccontato in più occasioni la propria esperienza a giornali e tv.

Per sentirlo, il pubblico ministero Walter Cotugno ha dovuto emettere una rogatoria internazionale e volare fino a Praga, dove ha sede la Sped.it, l’azienda di autotrasporti per cui il camionista lavora. “Uno sforzo investigativo che dobbiamo ai 43 morti”, ha detto il procuratore capo Francesco Cozzi. E che ha dato i suoi frutti: secondo quanto riportato dall’edizione genovese di Repubblica e confermato da fonti qualificate a ilfattoquotidiano.it, venerdì 15 febbraio Kucera ha escluso, davanti al pm e ai finanzieri, di aver visto cadere il peso in acciaio, dicendo di non ricordare nulla di simile. Una testimonianza fondamentale, che si aggiunge, peraltro, a quanto già dichiarato dal titolare della Mcm di Alessandria, la ditta proprietaria del camion “incriminato”: “La bobina è rimasta sul semirimorchio, nel proprio alloggiamento. Lo si capisce da come si è deformata e dallo stato del mezzo”, aveva detto, subito dopo che l’ingegner Agostino Marioni aveva avanzato per primo ai pm l’ipotesi della caduta, ipotizzando un impatto dalla forza pari a “una cannonata”. La tesi di Marioni – che in passato si era occupato del rinforzo della pila 11, quella ipoteticamente sgretolata dal peso dell’acciaio – sarebbe però smentita anche dalle registrazioni di una telecamera privata, visionate negli scorsi mesi dagli investigatori.

Autostrade, attraverso una nota diffusa nella serata di lunedì, nega di aver fatto propria la teoria della caduta del rotolo d’acciaio. “L’ipotesi è stata pubblicamente avanzata non dalla società, ma da alcuni soggetti esterni all’azienda, anche del mondo accademico”, scrive Aspi, “presumibilmente in considerazione della particolare posizione a terra del coil”. Allo stesso tempo, però, la concessionaria avanza dubbi sull’attendibilità del ricordo dell’autista, dal quale, peraltro, ha ricevuto richiesta di risarcimento in quanto danneggiato dal crollo: “È opportuno ricordare che il veicolo da lui guidato è stato ritrovato a terra ad almeno 160 metri di distanza dal tir che trasportava il coil, e che tra i due camion erano presenti numerosi altri veicoli, inclusi mezzi pesanti, peraltro in una condizione di minima visibilità, a causa dell’intensa pioggia in atto”, si legge. Aspi conclude precisando che i propri legali formuleranno un’ipotesi sulle cause del disastro in un momento successivo, “non appena i consulenti della società avranno terminato di analizzare le informazioni disponibili per ricostruire le possibili cause, debitamente supportate da analisi numeriche e strutturali”. Gli inquirenti, però, finora hanno dato per scontato che sul caso-bobina si sarebbe giocata buona parte della partita difensiva della concessionaria.

Proseguono, nel frattempo, i lavori di demolizione del moncone ovest del viadotto. Entro la fine della settimana verrà smontata la seconda trave gerber, con un sistema di taglio e discesa dall’alto identico a quello utilizzato per la prima. Ed è di domenica la notizia che il nuovo ponte non avrà, probabilmente, i 43 lampioni a ricordo delle vittime immaginati da Renzo Piano. Ragioni tecniche e di sicurezza hanno convinto i progettisti a cambiare idea, affidando la funzione di ricordo a un “memoriale”, di natura ancora non precisata, che dovrebbe essere costruito ai piedi della nuova struttura.

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